“A nessuno verrebbe in mente di entrare in un supermercato – provoca Eugenio Guagnini, responsabile Area Sistemi Informativi e Gestione Qualità di Assolombarda – e di mettersi in tasca una scatola di pelati”. Ma la pirateria del software, sia a livello consumer sia a livello business, senza eccezione per la pubblica amministrazione, è pratica consolidata. Manca, così come avviene per altri segmenti del sommerso, la consapevolezza: dell’illegalità di azioni di questo tipo; dei rischi, sia in termini di sicurezza sia in termini di conseguenze nel momento in cui ci si confronta con la legge; del valore e delle ripercussioni economiche delle violazioni. È per questo che la Business Software Alliance (BSA) tenta di instillare questa consapevolezza negli imprenditori, nelle aziende, nei comuni cittadini.
Lo fa ora con lo studio IDC dal titolo “The Economic Impact Of Reducing Software Piracy”. Non una giaculatoria sui danni inferti dalla pirateria, non una sequela di numeri che quantifichino le mancate vendite come perdite e con percentuali che raffigurino una realtà fatta di quote di mercato da ascrivere ai colossi del software, e di quote altrettanto corpose di dominio di ombrosi cloni del sommerso. L’analisi IDC, la quarta dal 2003, prende le mosse dai dati sulla pirateria e disegna un’ipotesi: cosa accadrebbe se pirateria, licensing improprio e contraffazione, che rappresentano a livello globale il 43 per cento del software installato secondo le più recenti stime emesse per il 2009, si riducessero del 10 per cento ? Lo studio IDC mostra una cascata di ripercussioni, che si rileverebbero in primo luogo sull’ecosistema dell’industria del software, e che si riverbererebbe su tutti i sistemi economici dei 42 paesi presi in esame e si manifesterebbe con la creazione di posti di lavoro, la crescita del PIL, l’aumento del gettito fiscale.
Non si parla solo di ridimensionare le perdite (il valore commerciale del software contraffatto è stimato a livello globale in 51 miliardi di dollari), ma si parla della legalità come di uno stimolo per alimentare il mercato . E conquistare con prodotti legali il 10 per cento in più del mercato entro il 2013, secondo le stime di IDC, significherebbe immettere nel mercato 142 miliardi di dollari generati da nuove attività economiche, creare la necessità di impiegare 500mila persone nell’IT, attività che potrebbero tradursi in 32 miliardi di dollari di gettito fiscale, innescando circoli più che virtuosi per le economie locali.
Un meccanismo che si staglia con nettezza nei sistemi economici russo e cinese: entrambe attualmente nella lista di monitoraggio prioritaria di IIPA, entrambe che mostrano di aver perseguito negli scorsi anni in maniera sistematica, pur non mancando gli episodi controversi , una strategia di riduzione dell’illegalità, hanno guadagnato in un clima di economia emergente posti di lavoro IT superiori a quelli previsti da IDC nello studio che risale al 2003: rispettivamente 9mila e 220mila posti di lavoro, direttamente riconducibili secondo IDC alla riduzione della percentuale di software pirata impiegato. Ciò è dovuto, ricorda BSA, al fatto che il mercato del software non vale semplicemente quanto le licenze, ma alimenta settori come l’apparato della distribuzione, dei servizi collaterali, dell’assistenza, per investire tutto il settore IT.
L’ipotesi della riduzione quadriennale del 10 per cento della pirateria software dimensionata sul quadro italiano varrebbe invece 7.538 posti di lavoro nel settore delle nuove tecnologie, 3.637 milioni di euro in termini di nuovi volumi di affari e 1.245 milioni di euro di gettito fiscale . Si tratta appunto di un’ipotesi, tutta da verificare: la pirateria del software tra il 2008 e il 2009 è cresciuta di un punto percentuale, un dato in controtendenza rispetto agli altri paesi presi in considerazione, che non appare motivato dalla contingenza della recessione, ma piuttosto dai nuovi investimenti in hardware e dall’approvvigionamento software illecito. Una situazione che mostra con nettezza l’atteggiamento dei consumatori di software, sovente indifferenti rispetto alla legalità, sovente, si spiega, addirittura inconsapevoli dei comportamenti messi in atto.
L’industria del software non pensa ad un radicale riposizionamento sul mercato , seppure già coltivato attraverso la segmentazione nell’offerta di servizi base e di proposte collaterali, ma punta piuttosto alla responsabilizzazione dell’utenza. Un’utenza fatta di privati cittadini, ai quali viene già rivolta un’offerta tagliata su misura delle esigenze dei diversi segmenti e delle dimensioni dei diversi portafogli, ma soprattutto delle imprese. Che in Italia sono per grandissima parte di piccole dimensioni, il cui reparto IT è spesso governato in maniera arrembante, disinvolta. Con queste realtà il provocatorio paragone tra la pirateria del software e il taccheggio appare reggere: complice l’immaterialità del software, chiosano il presidente di BSA Marinelli e Guagnini, molte queste aziende non comprendono di cozzare con il quadro normativo che, giusto o sbagliato che sia al di là delle dinamiche di mercato, stabilisce al momento quelle che sono le regole a cui attenersi.
È proprio nel senso delle responsabilizzazione che si dispiega principalmente l’azione dell’antipirateria. Se però all’estero BSA lancia campagne per incoraggiare anonime segnalazioni che portino alla luce aziende che violano il diritto d’autore, se si promettono taglie per stimolare le delazioni che inneschino opere mirate di educazione alla legalità, in Italia questo regime non appare funzionare: non sembra essere percepito culturalmente il fatto che la legalità offrirebbe vantaggi per l’intero sistema economico.
Guagnini anticipa piuttosto che Assolombarda ha condotto in collaborazione con BSA un’operazione di sensibilizzazione presso le aziende associate, incontrando spesso inconsapevolezza. Spiega Guagnini che molto dell’operato di responsabilizzazione avviene illustrando alle aziende i rischi dell’uso di software illegale. Rischi illustrati in maniera “strumentale” in termini di sicurezza per quanto attiene a privacy, malware e furti di identità, ma anche in termini di conseguenze legali deterrenti come quelle introdotte dal Decreto Legislativo 231/2001 , che estende materialmente all’intera azienda e non riversa semplicemente sul rappresentante legale le sanzioni che è possibile elevare nel caso dell’uso di software contraffatto. Interventi della Guardia di Finanza, multe consistenti, conseguenze estreme come il blocco delle attività: queste le minacce che sembrano scuotere le aziende.
Non a caso il presidente di BSA cita il potenziale impatto mediatico dell’ operazione Uncino : ACTA aleggia solo negli accenni, e nonostante i recentissimi dati del World Economic Forum posizionino l’Italia al 61esimo posto nella tutela della proprietà intellettuale, “il quadro normativo italiano per la tutela della proprietà intellettuale c’è ed è adeguato – sottolinea Marinelli – il problema è farlo rispettare”.
Gaia Bottà