Milano – Cala la pirateria software in Italia: l’uso illegale di applicativi proprietari secondo Business Software Alliance , BSA , nel 2007 ha riguardato il 49 per cento del mercato italiano. Un dato inferiore a quello del 2006 (51 per cento) e del 2005 (53 per cento). Parrebbe dunque una tendenza, che va però contestualizzata, considerando che il 49 per cento era già stato registrato nel 2003.
Perché questa percentuale in Italia è tornata a ridursi dal 2006 ad oggi? “Negli ultimi due anni – spiega a Punto Informatico Luca Marinelli , presidente di BSA Italia – si sono messe in moto molte cose. Il Governo si fa parte molto attiva nella riduzione di questo fenomeno, non solo con interventi legislativi ma anche attraverso la sensibilizzazione, che spesso è la cosa più importante”. Già, perché in Italia il fattore pirateria, evidentemente non solo quella sul software, ha anche origini culturali . Ne è convinto Marinelli: “La pirateria italiana è legata soprattutto ad una questione culturale, ma è spesso anche frutto di ignoranza, perché gli imprenditori in molti casi neppure sanno di star utilizzando software pirata, magari venduto come legale da rivenditori spregiudicati”.
Ma cosa significa tasso di pirateria ? Lo spiega BSA: prima di tutto si valuta quanto packaged software per PC è stato installato nel corso di un dato anno nel paese. A quel dato si sottrae la quantità di software legalmente acquisita, di cui cioè si sono pagate le licenze. Il risultato della sottrazione di un dato sull’altro dà quella che BSA definisce “la quantità di software pirata”. Una volta stabilita questa quantità, il tasso di pirateria viene determinato come percentuale sul software totale installato che non sia stato legalmente acquisito.
BSA ieri a Milano ha anche fatto riferimento ai dati di IDC sui costi della pirateria per il cosiddetto “sistema paese”. Come ben sanno i lettori di PI secondo IDC qualora la pirateria sul software venisse ridotta nei prossimi quattro anni di 10 punti percentuali, allora si creerebbero 6mila nuovi posti di lavoro “di alto livello” nel settore tecnologico. La riduzione di due punti, peraltro, non è detto che significhi una riduzione dei mancati introiti. Sottolinea Marinelli a Punto Informatico : “In Italia il mercato nel 2007 ha sì visto ridurre il tasso di pirateria ma ha contestualmente perso di più, l’equivalente di 1,7 miliardi di dollari”. L’anno scorso il dato era di 1,4 miliardi di dollari. La ragione è ovvia: l’ICT si diffonde in tutte le attività economiche ed industriali, dalle più piccole alle grandi, e dunque ad una percentuale minore di pirati corrispondono comunque mancate vendite per un valore complessivamente più alto.
E su questo fronte, sul senso del calcolo delle perdite causate dalla pirateria , per la prima volta BSA ha dedicato una considerazione all’interno dello studio presentato ieri, il suo Global Piracy Study . E spiega: “Sebbene non tutti i software oggi piratati sarebbero acquistati legalmente, allo scendere del tasso di pirateria alcuni di quei software pirata verrebbero sostituiti (con software legale), altri non verrebbero utilizzati, ma la riduzione del tasso stimolerebbe l’attività economica, che stimola l’acquisto e la produzione di maggiori quantità di software”. BSA sottolinea che non si tratta di una illazione: a suo dire, lo ha dimostrato IDC andando ad analizzare il rapporto tra spesa hardware e spesa software, individuando una correlazione tra il tasso di pirateria e quel rapporto. Più alto il tasso, più bassa la spesa di software rispetto alla spesa hardware. Non solo: IDC indica che ad una riduzione del tasso di pirateria corrisponde una crescita dell’ industria locale del software .
E in Italia? “Noi in Italia – continua Marinelli – abbiamo la cultura del fare i furbi, del pagare le cose di meno o del non pagarle affatto. La cultura non ci favorisce”. Dunque è proprio prima di tutto sul piano culturale che BSA dice di voler lavorare per ridurre ulteriormente i tassi di pirateria. “Il calo registrato negli ultimi due anni – dichiara Marinelli – si deve ad un fenomeno di sensibilizzazione che viene svolto non solo da BSA ma anche dal Governo e da quelle altre associazioni di categoria che su fronti analoghi, come la musica o l’audiovisivo, stanno compiendo simili azioni”.
La velocità di decrescita della diffusione del software pirata in Italia sul complesso del software utilizzato, vale a dire due punti percentuali, è comunque considerata elevata, sebbene Francia e Spagna siano riuscite a far meglio (rispettivamente -6 e -3 nello stesso periodo di tempo). Nel complesso il tasso di pirateria software in Europa occidentale è peggiore soltanto in Grecia (58 per cento) e a Cipro (50).
La battaglia condotta nei paesi ricchi da BSA, che riunisce i maggiori produttori di software proprietario, è naturalmente quella della legalizzazione del mercato: spingere le imprese piccole e grandi ad acquisire le licenze significa aumentare il fattore legalità del sistema economico e moltiplicare gli introiti dei produttori. Legalità che in molti casi, peraltro, può anche significare adozione di software libero, a cui viene spesso associato un minor costo diretto di implementazione soprattutto per l’abbattimento dei costi delle licenze. Ma, tornando a BSA e all’esperienza maturata in questi anni, qual è l’ impresa tipo che in Italia ricorre a software pirata? “Non si può individuare una specifica tipologia”, spiega Marinelli a Punto Informatico , ma appare chiaro che aziende di piccole e medie dimensioni possono incontrare maggiori difficoltà nella corretta gestione del parco licenze rispetto a realtà maggiori, che spesso fanno ricorso ad uffici dedicati all’informatica interna. E questo contribuisce a comprendere le caratteristiche della genesi della pirateria italiana, paese costellato di piccole e medie società. “Il lavoro di informazione è enorme – sottolinea Marinelli – BSA raggiunge direttamente più di 180mila imprese l’anno”. L’Associazione manda loro materiali, opuscoli, in cui spiega i rischi legali dell’uso di software pirata , racconta come verificare la legalità del proprio software, offre assistenza. “Ma se si calcola che le imprese in Italia sono ben più di 4 milioni – specifica Marinelli – si capisce quanto sia difficile arrivare a tutti”. Nel mondo il tasso di pirateria registrato da BSA è cresciuto di 3 punti , dal 35 per cento del 2006 al 38 del 2007. Si tratta di una crescita che, secondo i produttori di software proprietario, si deve agli “elevati tassi di sviluppo che il settore ICT registra nei Paesi di recente sviluppo”. Si parla ad esempio di Cina, Russia ed India, paesi in forte crescita tecnologica, dove il tasso è rispettivamente dell’82 per cento, del 73 e del 69.
In Europa occidentale è di interesse notare che a fare meglio, ossia ad attestarsi al di sotto del 25 per cento, sono i paesi che in altri contesti, ad esempio dalle analisi del World Economic Forum , fanno meglio in quanto ad innovazione, come Danimarca, Finlandia o Svezia.
“La nostra ricerca dimostra anche che la pirateria si riesce a ridurre sensibilmente nei Paesi in cui le pubbliche istituzioni collaborano attivamente con le organizzazioni di categoria nella tutela della proprietà intellettuale – sottolinea Antonio Romano, direttore generale di IDC Italia e Iberia – Se queste forme di collaborazione verranno potenziate anche a livello di organi di enforcement e su scala sovranazionale, potremo presto conseguire significativi risultati di riduzione dei tassi di pirateria anche nelle economie emergenti, equilibrando parallelamente i rapporti di competizione economica fra i rispettivi operatori”.
La ricetta di BSA per abbattere la pirateria mondiale consta di cinque punti:
1.Intensificare la consapevolezza e la sensibilizzazione del pubblico sui rischi legati all’impiego di software illegale;
2.Aggiornare la legislazione nazionale vigente in materia di copyright implementando gli obblighi stabiliti dalla World Intellectual Property Organization (WIPO), per combattere più efficacemente la pirateria digitale e online;
3.Creare forti strumenti di enforcement, tra cui severe disposizioni di legge contro la pirateria, come richiesto dal WTO (World Trade Organization);
4.Dedicare risorse significative ad affrontare il problema, tra cui la creazione di unità specializzate nelle forze dell’ordine, l’adesione a iniziative di collaborazione a livello internazionale e l’addestramento adeguato del personale;
5.Dare l’esempio, implementando sempre chiare politiche di gestione del software in ogni organizzazione ed esigendo che le pubbliche amministrazioni utilizzino soltanto software legittimo.