Quello che è stato definito da più parti un punto di svolta della guerra in Ucraina, il massacro di civili a Bucha, ha portato Facebook al centro dell’attenzione mediatica. Il motivo è da ricercare nel blocco temporaneo di hashtag come #bucha e #buchamassacre attuato dal social network. È stato un errore.
Il massacro di Bucha: gli hashtag bloccati da Facebook
Nessuna censura: si è trattato di un’azione automatica imputabile agli algoritmi che monitorano i contenuti pubblicati sulle bacheche. A spiegare cosa ha portato alla loro disattivazione è Andy Stone, portavoce di Meta. Di seguito proponiamo il suo intervento su Twitter in forma tradotta.
È accaduto automaticamente, a causa dei contenuti grafici pubblicati dalle persone utilizzando questi hashtag. Una volta a conoscenza del problema, ieri, abbiamo agito rapidamente per sbloccare gli hashtag.
Il blocco è durato alcune ore e ha interessato anche Instagram. Le due piattaforme permettono la condivisione di post contenenti immagini violente se l’azione ha come finalità quella di informare a proposito di possibili violazioni dei diritti umani, riservandosi però il diritto di eliminarli se troppo espliciti oppure se diffusi in modo celebrativo e non in forma di condanna per quanto avvenuto.
Le policy adottate (o modificate ad hoc) da Meta dall’inizio della guerra in Ucraina in poi sono già finite più volte al centro di accese discussioni e polemiche. Nelle scorse settimane, i due social hanno introdotto, in alcuni paesi, un’eccezione alle regole standard che consente di invocare pubblicamente la morte di Vladimir Putin o dei soldati russi impegnati nell’invasione del paese. Vale per Armenia, Azerbaigian, Estonia, Georgia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia, Ungheria e ovviamente Ucraina.
Quanto accaduto a Bucha è e continuerà a lungo a essere oggetto di analisi e confronti. Il Cremlino continua a sostenere la teoria di una messa in scena data in pasto ai media occidentali e all’opinione pubblica. Una serie di immagini satellitari pubblicate dal New York Times inchioda però l’esercito russo alle sue responsabilità.