La sicurezza è la prima regola che un pilota deve seguire quando fa decollare il proprio drone e nel mondo aeromodellistico in generale si identifica solitamente con l’appellativo safety first . Esistono le norme scritte (che in Italia sono state elencate nel regolamento Enac ) e quelle non scritte dettate dal buon senso, dall’usare il cervello per preservare la propria incolumità e soprattutto quella degli altri.
La stragrande maggioranza degli operatori è consapevole che un multirotore non è un giocattolo, bensì una macchina volante da utilizzare con estrema attenzione. Tuttavia sono stati tantissimi i casi di voli irregolari riscontrati negli ultimi tempi in giro per il mondo che si sono scontrati con il concetto “safety first”; e anche nel nostro Paese non sono stati da meno. Ricordiamo, ad esempio, alcuni voli illegali che hanno fatto molto scalpore in Rete sopra Piazza San Marco a Venezia, sul Duomo di Milano e lungo il Tevere a Roma, senza contare gli innumerevoli video caricati sui social network nei quali si vedono immagini aeree girate sopra folle di persone o addirittura sopra le teste dei commensali nelle sale ristoranti durante i pranzi di matrimonio. Cose da pazzi!
Attenti a fare i furbi
Attualmente nel nostro Paese i “furbetti del volo” sono intercettati dalle Forze dell’Ordine, che fermano il pilota sequestrando preventivamente il mezzo volante, per poi attenersi a quelle che sono le regole dettate da ENAC con conseguenti sanzioni (salatissime). Questi esempi, però, ci fanno capire come il problema dei voli illegali esiste e in futuro diventerà sempre più pressante visto la proliferazione dei piccoli droni civili, mezzi che per via delle loro dimensioni contenute non vengono rilevati dai radar tradizionali. Per proteggere determinate zone dal sorvolo, diverse aziende specializzate hanno studiato dei sistemi di dirottamento del mezzo volante con conseguente abbattimento più o meno in sicurezza. Questi sistemi sono solitamente affidati a personale specializzato o ad organi preposti che svolgono una funzione di controllo e sicurezza sul territorio. Purtroppo, però, esistono anche dispositivi (illegali in Italia) che consentono al singolo privato di mandare in “jamming” il drone del vicino, e tali sistemi sono addirittura di libera vendita in Rete.
Jammers anti droni
Con il termine jammer si intende un disturbatore di frequenza, in pratica uno strumento utilizzato per inibire le trasmissioni in radiofrequenza. Ne esistono di diversi tipi, a seconda degli scopi, e attualmente in commercio si trovano quelli a multifrequenza, ossia che possiedono svariati moduli di disturbo per i diversi tipi di frequenze in un unico apparecchio. Il funzionamento è molto semplice: si attiva l’interruttore e lo jammer inizia a trasmettere e quindi a saturare di onde radio l’area dove è piazzato, oscurando tutte le altre trasmissioni. I disturbatori di frequenza sono stati originariamente progettati per le forze dell’ordine e per l’esercito, in quanto l’interruzione delle comunicazioni su largo raggio costituiva una valida protezione da criminali e terroristi. Nel tempo però, c’è stato un costante aumento del loro utilizzo soprattutto per scopi illegali, per esempio pensate ai ladri che si servono di questi disturbatori per bloccare i sistemi di allarme e antifurto. Poi sono innumerevoli i casi di singoli cittadini che per pochi dollari si sono acquistati uno jammer per compiere atti illeciti ma, bisogna ammetterlo, assolutamente curiosi. Per esempio, un pendolare di Chicago è stato arrestato perché ha utilizzato un disturbatore di frequenza per bloccare i telefoni cellulari su un treno, dichiarando in seguito che era infastidito dal continuo chiacchierare dei passeggeri. Oppure, sempre negli Stati Uniti, un insegnate ha mandato in tilt gli smartphone dei propri studenti perché non ce la faceva più a vederli inseguire Pokemon, peccato che il disturbatore di frequenza ha bloccato ogni tipo di trasmissione in un raggio di 3 miglia. Venendo al nostro caso specifico, sappiamo che gli APR (Aeromobile a Pilotaggio Remoto) sono pilotati in remoto tramite radiofrequenze, che sono il cuore di un drone, e senza la comunicazione tra controller (che sia radiocomando, smartphone o tablet) e drone, quest’ultimo cade e si schianta a terra. Quindi attraverso uno jammer chiunque può interferire con il volo del nostro drone, magari perché infastidito dal continuo ronzio delle eliche o per questioni di privacy, anche se esiste una legge in merito molto chiara per una massima tutela di ogni tipo di sfera privata. In Italia, in base agli Art. 340 , 617 e 617 bis del Codice Penale, è punito l’uso e l’installazione di questi prodotti, ma per assurdo i disturbatori di frequenza si possono acquistare in Rete senza alcun problema. Basta digitare la parola “jammer” su Google e appaiono migliaia di siti dedicati alla compravendita, con decine e decine di modelli a partire da pochi euro. Tuttavia, esistono anche dei sistemi anti jammer, o meglio, dei dispositivi che mettono in allerta sulla presenza in zona di un disturbatore di frequenza e avvisano per tempo l’operatore.
La tecnologia dei DroneBlockers
Questi sistemi sono stati utilizzati come prevenzione contro i droni non autorizzati a volare nelle no-fly-zone istituite per regolare la sicurezza durante le Olimpiadi brasiliane di Rio de Janeiro 2016. Grazie alla IACIT, azienda tecnologica brasiliana impegnata da oltre trent’anni nello sviluppo di prodotti e sistemi applicati per l’assistenza, il controllo e la gestione del traffico aereo e marittimo, i DroneBlockers sono stati forniti alle autorità di polizia e all’esercito brasiliano. Sempre sulla falsa riga degli jammer, questi sistemi sono tecnologicamente più evoluti perché lavorano sulla captazione radio del soggetto, per poi assumerne il controllo e farlo atterrare in sicurezza, senza crash. Nello specifico rilevano la presenza del drone, inviano dei segnali di disturbo che isolano il data-link tra drone e controller, costringendo un “ritorno a casa” forzoso dell’APR senza farlo precipitare. Su YouTube è possibile vedere alcuni video che illustrano il funzionamento di questo sistema.
Un dispositivo di hacking per droni
Durante l’ultimo PacSec di Tokyio, il ricercatore di Trand Micro Jonathan Andersson ha presentato Icarus, un dispositivo in grado di collegarsi al drone e prenderne il completo controllo sfruttando una tecnica di hacking rapida ed efficace. Andersson tiene a precisare che non si tratta di un dispositivo jammer perché Icarus sfrutta la vulnerabilità della piattaforma radio DSMx, usata dalla maggior parte dei multirotori in commercio. Il ricercatore ha testato con successo il dispositivo su alcuni modelli delle aziende Walkera, AirTronics e NineEagles. L’azione di Icarus si sviluppa in due fasi: la prima sfrutta una tecnica di brute forcing che individua la chiave di collegamento trasmettitore-drone, mentre la seconda è rappresentata da un timing attack diretto al trasmettitore per estrometterlo dal controllo. Il risultato è che l’hacker, utilizzando un radiocomando con collegato Icarus, prende il completo controllo del drone sostituendosi al pilota. Attualmente Icarus non è in commercio (e forse non lo sarà mai) e non è nemmeno utilizzato da organi ufficiali preposti al controllo e sicurezza.
A colpi di bazooka
Da piccoli micidiali marchingegni a veri e propri “cannoni” anti-droni che fanno molto Star Wars. Stiamo parlando di DroneDefender e Skywall 100, due dispositivi simili nella forma ma che interrompono il volo del drone con sistemi diversi.
DroneDefender di Battelle è in pratica un fucile a onde elettromagnetiche che “spara” un segnale di disturbo all’interno di un cono di 30 gradi fino alla distanza di 400 metri. DroneDefender manda così fuori uso l’antenna GPS e quella che riceve le istruzioni dall’unità di controllo remoto del drone, costringendolo ad entrare in modalità di sicurezza e quindi ad atterrare in modo sicuro. Questo dispositivo non è attualmente in vendita al pubblico e viene utilizzato solo dal governo degli Stati Uniti: il Pentagono ha acquistato un primo lotto di 100 DroneDefender ripartiti tra i diversi corpi e le varie agenzie governative. Inoltre a quanto emerge da una notizia diramata nel mese di ottobre 2016 dal segretario dell’Air Force Deborah Lee James, DroneDefender è stato utilizzato per la prima volta in un impiego operativo per disattivare un drone dello Stato islamico equipaggiato con una testata esplosiva.
Più in stile “lanciarazzi” è invece lo SkyWall 100 di Open Works che spara veri e propri proiettili contenenti una rete acchiappa-drone. Il suo funzionamento è molto semplice: l’operatore punta sul velivolo una sorta di mirino (SmartScope) in grado di calcolare la distanza e la traiettoria di volo del drone. L’aggancio del velivolo è confermato da un segnale acustico prolungato che avvisa l’operatore, il quale non deve fare altro che premere il grilletto. A questo punto lo SkyWall 100, che è alimentato a gas compresso, spara il proiettile che contiene una rete in grado di intrappolare il drone. L’azienda non produce un solo proiettile standard, bensì una serie, e il modello SP40 è corredato di un paracadute che consente di portare a terra il multirotore intrappolato nella rete senza farlo schiantare.
Il drone acchiappa-droni
Dalle tecnologie terrestri per abbattere i droni che volano con cattive intenzioni, a macchine volanti per vere e proprie battaglie nei cieli. Questo è il caso di Excipio, un drone che cattura altri droni. Il particolare esacottero prodotto da Theiss UAV Solutions funziona con lo stesso concetto dello SkyWall 100, ovvero spara una rete che intrappola il velivolo “preda” portandolo a terra. Excipio è pilotato in modalità manuale e richiede due operatori per gestirlo: il primo si dedica al pilotaggio del drone, mente il secondo si occupa del lancio della rete. Theiss fa sapere che sta lavorando sul miglioramento di Excipio e sullo studio di modelli ancora più avanzati. Il mercato di riferimento di questo drone acchiappa-droni è quello per le forze dell’ordine, ma l’azienda ha confermato che ci sono piani relativi all’abilitazione di Excipio per uso commerciale. Insomma, un domani potrebbe essere un velivolo dedicato anche agli hobbisti. Sarà possibile? Staremo a vedere.
Aquile a caccia
In Olanda, la società Guard From Above, in collaborazione con le forze dell’ordine, sta sperimentando l’addestramento di aquile e altri rapaci in funzione anti-drone. L’amministratore delegato della società olandese ha spiegato che i rapaci addestrati potrebbero essere la risposta non tecnologica ma più efficace alle esigenze di controllo del cielo per quanto riguarda il volo di APR non autorizzati o portatori di possibili minacce aeree. Utilizzando le tecniche di addestramento tipiche della falconeria, quella specializzazione venatoria antichissima che si basa proprio sui rapaci addestrati, un animale è già stato “testato” su un velivolo DJI: l’uccello si è levato in volo, ha identificato la “preda”, l’ha attaccata afferrandola con gli artigli e l’ha portata a terra per consegnarla all’addestratore. Il metodo, dunque, sembra efficace, anche se non mancano dubbi. Tra questi, la possibilità che i rapaci vengano feriti dall’impatto con le eliche dei droni durante l’attacco. A tale proposito, la società olandese ha spiegato che sono in corso studi per verificare la reale entità del rischio e quindi escogitare sistemi di protezione per gli animali.
AUDS il disturbatore
Blighter Surveillance Systems, Chess Dynamics ed Enterprise Control Systems sono le tre società inglesi coinvolte nello sviluppo di AUDS (Anti-UAV Defence System), ovvero un sistema difensivo anti drone molto evoluto e destinato ai corpi speciali che operano a protezione delle zone di confine, degli aeroporti o di determinate aree urbane. L’aspetto di AUDS è di puro stampo militare, anche se non mostra segni evidenti di un’arma convenzionale, e il principio di funzionamento è paragonabile a quello di un potente jammer, con una portata stimata dai 2 agli 8 chilometri. Il sistema monitora una determinata area e riconosce tramite una scansione radar l’oggetto volante non desiderato tenendolo perfettamente inquadrato. Il drone viene abbattuto attraverso un bombardamento di trasmissioni a radiofrequenza che offuscano la ricezione dei satelliti collegati al GPS, provocando l’arresto del velivolo e la caduta graduale e sotto controllo.
Una vera e propria arma ammazzadroni
L’esercito degli Stati Uniti sta testando un nuovo sistema a microonde in grado di abbattere un intero stormo di droni in un sol colpo. Si chiama Phaser e non c’entra nulla con la famosa arma utilizzata nei telefilm della serie Star Trek. Questo dispositivo sviluppato da Raytheon per la difesa aerea dell’Esercito è in grado di proteggere le forze di terra da nuovi tipi di minacce, come appunto i droni armati o le autobomba, ed è chiaramente pensato per gli scenari attuali e futuri. Phaser produce un fascio di microonde in grado di bruciare i circuiti e la componentistica di tutti gli apparati elettronici dei droni e di qualsiasi altro mezzo (auto, elicotteri ecc.), mettendoli così fuori uso. Quest’arma è installata su un container e può essere abbinata a diversi tipi di radar a seconda delle esigenze, per tracciare e agganciare i velivoli nemici. Un generatore diesel fornisce a Phaser l’energia necessaria a funzionare. Altri dettagli, come la portata e il raggio massimo di azione dell’arma, sono assolutamente top secret. I test con il Phaser sono iniziati nel 2013 presso Fort Sill, una base dell’Esercito americano in Oklahoma, ma solo di recente è stata data la notizia di questa nuova arma dalle potenzialità a dir poco eccezionali.
Abbattimenti fai da te
A parte i dispositivi specifici che abbiamo appena elencato e descritto, le notizie degli ultimi tempi ci riportano tante situazioni di abbattimento a dir poco curiose. In un primo momento possono far stupire e magari sorridere, ma sono scenari assolutamente pericolosi, che solo per una buona dose di fortuna non hanno portato a brutte conseguenze, ma sono assolutamente da denunciare, perché oltrepassano la soglia del buon senso. Per esempio durante un concerto allo Zumies Best Foot Forward, evento per skaters che si è svolto a Detroit, qualche birra di troppo mischiata all’adrenalina del momento deve aver fatto perdere la testa al bassista dei Trash Talk, che ha avuto la brillante idea di scagliare una lattina di birra sul drone del videomaker Harry Arnold, facendolo precipitare sulla folla di spettatori.
O ancora in Russia, durante una rappresentazione rinascimentale, un cavaliere deve aver scambiato il multirotore ingaggiato per le riprese per un pericoloso drago sputafuoco. Allarmato dal “diavolo volante” ha pensato bene di abbatterlo scagliando la sua fidata lancia, fregandosene altamente dell’incolumità delle persone presenti.
Ma i casi più eclatanti di abbattimenti fuorilegge sono sicuramente quelli che vedono come protagonisti veri e propri pistoleri dei nostri tempi. Sono parecchi in giro per il mondo, per esempio nel luglio del 2015 a Lousville in Kentucky, il 47enne William H. Merideth preoccupato per l’invasione della privacy familiare da parte di un drone, ha sparato e abbattuto con la sua un’arma da fuoco il fastidioso intruso. Dopo un duro diverbio con il pilota del drone è arrivata la polizia di Hillview che dopo aver raccolto le deposizioni dei testimoni, ha arrestato Merideth per aver contravvenuto un’ordinanza locale sull’uso delle armi da fuoco in città.