In attesa che i chembot spazzino via qualsiasi ricerca alternativa e/o l’intera razza umana, dal mondo accademico statunitense continuano ad arrivare notizie delle sperimentazioni di micro air vehicle “tradizionali”, quelli fatti di circuiti logici discreti, pale in movimento e sensori vari e assortiti.
L’ultimo MAV delle meraviglie arriva dall’unità Hybrid Systems Laboratory della Stanford University e si chiama STARMAC , acronimo che sta per Stanford Testbed of Autonomous Rotorcraft for Multi-Agent Control . Il drone serve a sperimentare le soluzioni automotive finora individuate dai “labs” della California e per “dimostrare nuovi concetti nel controllo multi-fattore in una piattaforma nel mondo reale”.
Il risultato è un veicolo capace di seguire un percorso prestabilito codificato all’interno dei suoi circuiti, facendo affidamento sia sul ricevitore di posizione GPS integrato che sulla componentistica di cui è dotato. Componentistica che gli permette anche di avere una “consapevolezza elettronica” del posto e della posizione in cui si trova.
STARMAC vola grazie ai quattro rotori di cui è dotato, e ritorna in posizione se gli viene lanciato qualcosa contro facendolo spostare. Attualmente sono stati costruiti 6 modelli del drone, una vera e propria flotta i cui componenti integrano al proprio interno microcontroller di basso livello, single-board computer PXA270 e il minuscolo PC-104 con Linux Fedora incorporato per il data processing delle informazioni visive catturate dai sensori.
STARMAC è arrivato alla sua seconda revisione, che rispetto alla prima aumenta il tempo di operatività grazie all’inclusione di nuove batterie e il “range” di possibilità di analisi con un numero maggiore di sensori. Il MAV può essere impiegato sia in ambienti outdoor che indoor senza problemi, grazie alla precisione del sistema di guida automatico e alla percezione “sensoriale” dell’ambiente.
Alfonso Maruccia