Per controllare i controllori, per svelare le identità dei membri delle forze dell’ordine: un sito in cui si invitava a identificare gli agenti ritratti in foto e video. Avrebbe dovuto rappresentare “una nuova arma per la lotta della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari contro la borghesia imperialista, il clero e le altre classi sfruttatrici e contro l’ordinamento sociale che esse ci impongono”. Ora è una pagina pubblicitaria.
Caccia allo sbirro, raggiungibile fino ai giorni scorsi presso cacciaallosbirro.byethost7.com/ si configurava come il punto di convergenza di tutte le informazioni relative alla forze dell’ordine italiane . Si presentava come un'”arma” a parere del (nuovo) PCI , una formazione di estrema sinistra con base in Francia, così come il server sul quale era ospitato il sito. Al pari di altre iniziative meno connotate politicamente, quali lo statunitense Rate My Cop , il sito muoveva sul contrasto fra trasparenza e violazioni della privacy: i cittadini erano invitati a pubblicare foto degli agenti, a comporre profili completi di generalità e zone operative, a segnalare gli indirizzi di residenza. Lo scopo? “Farli conoscere – spiegavano coloro che si celavano dietro a Caccia allo sbirro – è un modo pratico per rendere il loro sporco lavoro se non impossibile, almeno difficile”.
Sul sito la schedatura procedeva: vi erano riversate immagini da Milano, Bologna, Bergamo, Napoli. Fra gli agenti immortalati, anche un dirigente della Digos.
Ora Caccia allo sbirro ha ceduto il posto ad una pagina pubblicitaria. La procura di Bologna ha aperto un’inchiesta, il procuratore di Bologna ha definito quelli commessi a mezzo del sito “fatti di una gravità straordinaria”, spiegando che “è evidente il contenuto intimidatorio e cercare di porvi dei correttivi è il nostro compito fondamentale”. I profili perseguibili potrebbero essere quelli di violazione della privacy, con l’esposizione di immagini senza aver chiesto il consenso della persona ritratta, e di istigazione a delinquere, con l’invito ai cittadini della rete a pubblicare dati identificativi del membri delle forze dell’ordine.
Ad intervenire, anche i rappresentanti dei cittadini. L’onorevole Carlucci ha ravvisato nella contingenza la dimostrazione della validità della propria iniziativa legislativa : sarebbe “urgente e necessaria una normativa che impedisca ai farabutti di usare la rete per finalità eversive, coprendosi dietro il paravento dell’anonimato”. Ma la piattaforma su cui era innestato Caccia allo sbirro non era localizzata in Italia: solo l’ emendamento D’Alia al pacchetto sicurezza, se dovesse diventare legge, potrebbe costringere i provider italiani a dirottare il traffico dei cittadini della rete.
E mentre i tradizionali canali si stanno occupando di intessere le indagini, certe parti della rete hanno mostrato l’intenzione di scagliarsi contro l’iniziativa del NPCI . La Voce del NPCI , il sito con cui il gruppo manifesta la propria presenza in rete, ha subito un defacement: in home page, teschi muniti di cappello d’ordinanza, e i comunicati di una sedicente NETGODS H@cker Crew , che si dichiara in favor of honest people and the police . Sono anche coloro che si qualificano come appartenenti alle stesse forze dell’ordine a contrattaccare con le stesse armi di coloro che avrebbero voluto smascherare agenti in borghese e dare un nome alle forze dell’ordine. Annunciato sul forum del Sindacato Autonomo di Polizia, alimentato dalla rilevanza mediatica assunta dal caso, una persona che si definisce appartenente alle forze dell’ordine ha aperto un blog che dovrebbe smascherare coloro che vengono classificati come “anarcoinsurrezionalisti delinquenti devastatori di città”: colei che si presenta come Natascia La Pratese avrebbe l’intento di “SPUTTANARLI attraverso la rete”. Ma non è tutto, spiega la sedicente tutrice dell’ordine: “mi porrò anche un obiettivo politico: chiudere i centri sociali, i loro siti, le loro pagine sui blog e su Facebook (ma le avete viste? sono centinaia!) e sbattere in galera i più violenti e facinorosi…”.
Gaia Bottà
UPDATE (9:00): Caccia allo sbirro è tornato online. L’invito è sempre quello a “denunciare i servi del regime”, gli ultimi upload risalgono al 28 marzo. Nel contempo, i cittadini della rete si sono adoperati per indagare su quanto accaduto: Emanuele Gentili sul proprio blog ha dato spazio ad una una possibile ricostruzione del defacement.