Separazione funzionale della rete, concorrenza, Next Generation Network. L’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni , nella sua relazione annuale , mette in evidenza gli elementi critici che caratterizzano il mercato delle TLC in Italia. Temi assolutamente noti e che richiedono, oltre ad una loro identificazione, anche una soluzione. Un obiettivo che l’Authority auspica di raggiungere.
L’Autorità presieduta da Corrado Calabrò vede con particolare favore la separazione funzionale della rete, un traguardo che “è nell’interesse di tutti gli operatori e della stessa Telecom ” che anche quest’anno si è “aggiudicata” il riconoscimento della qualifica di operatore dominante in tutti i 14 mercati legati all’utilizzo della rete fissa, tanto a livello wholesale quanto a livello retail e caratterizzati da “un deficit competitivo di natura strutturale”.
In quest’ottica, prosegue l’Authority, la separazione funzionale rappresenta “il rimedio più efficace per risolvere i problemi concorrenziali, di accesso al mercato, di trasparenza, di abbattimento del contenzioso, e al tempo stesso di sviluppo del settore, anche in vista della realizzazione di reti di nuova generazione. La separazione funzionale della rete di accesso, è una soluzione win-win, un gioco a somma positiva”. L’argomento è stato oggetto di una consultazione pubblica recentemente conclusa, in merito alla quale il presidente Calabrò ha dichiarato: “stiamo ora esaminando le osservazioni pervenute. Il percorso è delicato e complesso, ma vogliamo venirne fuori entro l’anno dialogando con tutti, Telecom in primis”. A complicare ulteriormente il percorso, le evoluzioni del nuovo assetto proprietario della società, elemento che “allunga i tempi di interlocuzione”.
Lo scorporo è visto dall’Authority come una soluzione radicale “all’anomalia italiana che vede la quasi completa assenza di infrastrutture alternative alla rete di accesso in rame di Telecom”, la cui quota di mercato al dettaglio della banda larga resta superiore al 50%, con prezzi “ancora distanti dalle migliore pratiche europee”. E consentirebbe di dare un impulso concreto alla realizzazione della Next Generation Network, la nuova rete in fibra ottica destinata a ricoprire il ruolo di “infrastruttura” che oggi la tecnologia ADSL non può assolutamente sostenere. Un progetto che richiede un investimento pari ad “almeno 8 miliardi di euro”, che dovrà essere legato ad “una strategia con una remunerazione premiale degli investimenti di tutti gli operatori nelle reti di nuova generazione”, con l’introduzione del sistema di investment pools, “ovverosia la possibilità che più operatori si associno per coordinare gli investimenti nelle reti di nuova generazione”.
Secondo Stefano Quintarelli , soprattutto in relazione a quest’ultimo aspetto, sono in agguato due rischi che dovranno essere evitati, per giungere all’auspicato obiettivo di One Network: “pensare che esista la possibilità di più di una rete di accesso di nuova generazione (ma esistono abbondanti studi e pareri qualificati che dicono di no)” e “mettere delle condizioni che escludano una parte dei concorrenti, specie i più piccoli, da questo percorso”.
La relazione dell’Authority è stata apprezzata da Adiconsum , che dichiara di condividere, “in particolare, i riferimenti all’esigenza di una maggiore tutela del consumatore nel settore delle TLC, dove in questi ultimi anni più che ad un mercato regolarizzato ci è sembrato di assistere ad un mercato selvaggio per i servizi non richiesti addebitati in bolletta, per la violazione delle regole sulla pubblicità, ecc..”.
“I limiti della banda larga in Italia – ha dichiarato il presidente di FIMI Enzo Mazza – rischiano di causare danni anche al nascente mercato della musica digitale e dei contenuti creativi in rete. Siamo di fronte ad un mercato, quello della diffusione di contenuti online, con grandi prospettive di crescita, come stanno mostrando anche le ultime ricerche di mercato, ma l’Italia rischia di rimanere tagliata fuori. Condivido pertanto il forte richiamo del Presidente Calabrò” ha concluso Mazza.
Dario Bonacina
Mercato italiano delle tlc: la malattia è ormai accertata, la cura ancora incerta e il dottore forse troppo debole? – di Marco Pierani (Responsabile Relazioni Esterne Istituzionali Altroconsumo , associazione indipendente di consumatori)
Roma – A meno di un mese dalla chiusura della consultazione pubblica circa le rilevanti questioni dell’assetto della rete di accesso e le prospettive delle reti di nuova generazione a larga banda, Next Generation Access Network (NGAN), il Presidente dell’AGCOM ha confermato ieri, in occasione della Relazione Annuale, l’intenzione di portare a compimento entro la fine dell’anno la separazione funzionale della rete di accesso di Telecom Italia.
La malattia grave che affligge il mercato italiano delle tlc ha ormai, anche per l’AGCOM, un nome ben preciso: mancanza di concorrenza. Se, tuttavia, sulla diagnosi non si può che essere tutti d’accordo e, anzi, occorre rallegrarci per la definitiva, anche se purtroppo tardiva, constatazione da parte dell’Autorità che il mercato della telefonia fissa e, in misura anche più rilevante, quello della banda larga, a nove anni dalla liberalizzazione non possono dirsi effettivamente competitivi in quanto ancora ampiamente dominati dall’ex monopolista e che i rimedi posti in essere dall’AGCOM in questi anni non sono risultati efficaci nello scardinare il limite strutturale di sistema consistente nel collo di bottiglia della rete d’accesso e nella struttura verticalmente integrata di Telecom Italia. Come dire – si prende atto di quello che Altroconsumo denuncia da tempo con le sue indagini, d’altra parte, sulla cura, apppare invece lecito nutrire qualche dubbio sostanziale.
La separazione funzionale sul modello Openreach non appare, infatti, sufficiente, nella peculiare situazione italiana, a garantire pienamente quel necessario level playing field , ovvero la parità interna ed esterna di trattamento per tutti gli operatori e, di conseguenza, a tutelare appieno gli interessi dei consumatori. La separazione funzionale rischierebbe, infatti, di rimanere solo sulla carta rivelandosi fittizia e questo anche perché l’AGCOM non sembra poter purtroppo ancora avvalersi di una forza e di una autorevolezza effettivamente comparabili a quelle dell’Autorità di regolamentazione inglese OFCOM.
Di fatto, nello stesso documento di consultazione l’AGCOM prende atto del fallimento dei remedies adottati per limitare il dominio di Telecom Italia sul fisso e sulla banda larga e – ci permettiamo di aggiungere – si è trattato più che altro di inefficienza nella vigilanza e controllo e cioè nell’implementazione ed utilizzo in modo tempestivo dei rimedi stessi previsti dall’attuale regolazione più che di una loro inefficacia o insufficienza intrinseca. In questi anni, insomma, l’AGCOM è stata completamente assente per quanto riguarda i controlli, e l’arma delle sanzioni a sua disposizione è risultata spuntata.
Rimane, dunque, attualissimo il problema strutturale e di governance dell’Autorità che regolamenta il settore in modo che essa possa divenire più autorevole ed efficiente. Quale conseguenza, rebus sic stantibus, il fatto che nell’ambito di una ipotetica separazione funzionale la divisione separata di Telecom Italia sarebbe soggetta al controllo di un board composto in maggioranza da membri indicati dall’AGCOM non fornisce francamente una garanzia assoluta. Per evitare che Telecom Italia mantenga di fatto il controllo di leve utilizzabili in modo anticompetitivo appare, pertanto, necessaria la creazione di una società separata che gestisca la rete di accesso in completa autonomia rispetto alle legittime, ma proprio per questo, non necessariamente in linea con l’interesse generale, decisioni strategiche dell’ex monopolista.
Per altro verso, la separazione societaria non deve in ogni caso accompagnarsi alla revisione né, tanto meno, alla eliminazione degli obblighi a livello retail in capo a Telecom Italia. Il Presidente Calabrò dovrà trovare insomma il coraggio di andare oltre la logica di una sorta di baratto tra l’accettazione da parte di Telecom Italia della separazione funzionale sul modello Openreach e la concessione, quale contropartita, da parte dell’AGCOM di un allentamento dei vincoli sul mercato al dettaglio. Questa soluzione non gioverebbe in alcun modo alla concorrenza e agli interessi dei consumatori.
L’ex monopolista continuerebbe, infatti, ad avere una posizione dominante nei mercati di riferimento e questo continuerebbe a giustificare una apposita regolazione. Deve, altresì, rimanere in piedi la contabilità regolatoria. La separazione societaria serve, infatti, a garantire l’assenza di sussidi dall’esercizio in monopolio all’esercizio in concorrenza, la contabilità regolatoria (con sanzioni elevate) garantisce, invece, che non ci siano sussidi tra prodotti.
Occorre scardinare, in particolare con l’avvento delle NGAN, quel meccanismo perverso secondo il quale il collo di bottiglia della rete di accesso è stato fino ad ora utilizzato dall’ex monopolista per ottenere impropri vantaggi concorrenziali nei mercati a valle secondo i c.d. modelli triple e quadruple play e attraverso la promozione di offerte integrate e convergenti. Tale approccio, che ha già accentuato il problema del digital divide , rischia di farlo ancora di più con le reti di nuova generazione in quanto l’ex monopolista è e sarà sempre di più incentivato, seguendo legittimamente il proprio scopo di lucro, a massimizzare la presenza della banda larga nelle aree metropolitane più commercialmente redditizie ed a tralasciare le aree periferiche e rurali. Questo non corrisponde all’interesse generale e, per ovviare a ciò, non solo – come già indicato – appare necessaria la creazione di una società separata che gestisca la rete di accesso ma tale società dovrebbe in prospettiva aprirsi a partecipazioni azionarie da parte di operatori di settore, ovvero i concorrenti dell’ex monopolista, così come, eventualmente, da parte dello Stato o altri Enti pubblici.
L’AGCOM nel documento di consultazione definisce tali possibili prospettive come infrastructure joint venture , chi scrive preferisce parlare di un modello One network nell’ambito del quale la società che gestirà la rete dovrà operare secondo linee guida condivise ed approvate dall’Autorità o dal Ministero. Elemento essenziale per poter approdare a tale quadro prospettico di riferimento appare, infine, la ridefinizione del servizio universale intesa a ricomprendere l’accesso ad Internet ed alla banda larga con fissazione di una velocità di banda garantita. In questo modo l’accesso alla rete dovrebbe essere inteso come bene comune al mantenimento e allo sviluppo tecnologico del quale tutti gli operatori dovrebbero contribuire per poter continuare ad operare nel mercato delle telecomunicazioni.
Non bisogna, in conclusione, dimenticare che gli aspetti societari e finanziari della partita in gioco sono a tal punto delicati e rilevanti da prevaricare le questioni regolamentari, il Presidente Calabrò è perfettamente cosciente di ciò se è vero che ieri ha rimarcato, tra le righe, che, purtroppo, non si è ancora perfezionato il nuovo assetto proprietario di Telecom, e questo allunga i tempi. L’AGCOM si guarda bene – nel rispetto dei propri limiti di competenza – dal prendere in esame il sistema di “scatole cinesi” con il quale è controllata Telecom Italia così come dallo sviluppare eventuali considerazioni circa il fatto che le molte peculiarità delle liberalizzazioni all’italiana nel settore delle tlc possano avere avuto una qualche influenza sugli scarsi investimenti effettuati in questi anni nella rete da parte dell’ex monopolista, tuttavia la questione pendente del closing dell’accordo siglato tra Telco (Telefonica, Generali, Mediobanca, Intesa San Paolo ed Edizione Holding) e Pirelli per le azioni di controllo di Telecom Italia, anche se apparentemente ultronea rispetto all’attività che dovrà sviluppare l’Autorità, getta inevitabilmente un’ombra incombente su di essa non foss’altro per il fatto che un diverso assetto regolamentare potrebbe avere conseguenze dirette sull’accordo stesso.
Marco Pierani