I-ta-lia! I-ta-lia! Rimbombano, le voci della folla di ragazzi accalcati nella sala Protomoteca del Campidoglio in occasione del trofeo robotico RomeCup 2008 . Al centro, un campo di calcio su scala ridotta; i protagonisti, sei robocani che rincorrono un pallone.
Si incagliano, scuotono il muso metallico, si accucciano. Il clima è effervescente. Un Aibo con la corazza azzurra, il robocane Sony della squadra romana Soccer Player Quadruped Robots , SPQR , si conquista il pallone, lo strappa al robocane dell’università di Istanbul. Si smarca, porta avanti la sfera proteggendola con le zampe anteriori, solca sicuro il campo. Gli avversari sono disorientati: agitano il muso, lo sguardo di led smarrito. Il robocane della squadra italiana si avvicina alla porta e si libera del pallone con un elegante colpo di muso.
Goal. Il pubblico si sbraccia, ragazzini di ogni età additano il robocane di turno che si esibisce in una mossa buffa. L’Italia si è conquistata per il secondo anno consecutivo la partita, e sono i robot a conquistare. Il torneo che il team romano si è aggiudicato non è che uno degli eventi dalla RomeCup 2008, organizzati dalla Fondazione Mondo Digitale e pensati per promuovere “la formazione del XXI secolo”. Così la definisce il professor Alfonso Molina , direttore scientifico della Fondazione, docente dell’Università di Edimburgo e appassionato sostenitore dell’introduzione della robotica nel percorso scolastico dei più giovani.
I robot della squadra italiana hanno una strategia, spiegano a Punto Informatico i membri del team SPQR: non si accalcano sulla sfera, mantengono la posizione, tentano di coprire tutte le aree del campo. Le tattiche di gioco sono da ricondurre all’abilità dei programmatori. C’è chi si occupa della locomozione , di impartire ai robot le istruzioni relative alla postura e al movimento, c’è chi si occupa di studiare e programmare il versante percettivo dell’Aibo.
La visione, spiega il ricercatore e coordinatore della squadra Matteo Leonetti , è l’unico senso tradizionale a disposizione dei robot: “Hanno una visione limitatissima, un angolo visivo molto stretto, vedono pochissime cose per volta, nonostante ciò riescono a capire dov’è la palla, dov’è la porta che devono attaccare”. Per aiutare i robot ad orientarsi nelle loro azioni autonome, i segnali sono codificati in maniera precisa : palle arancioni, porte di colore diverso, cilindri a metà campo come punto di riferimento. Ma quello che aiuta i robot a prendere decisioni, a interagire autonomamente con la realtà è il fatto che sono in un certo senso e per alcuni aspetti autocoscienti : “Paragonano quello che si aspettano con quello che vedono”, spiega Matteo. Fondendo i dati percepiti e i dati relativi alle aspettative e al vissuto “il robot crea una rappresentazione di quello che è in grado di capire sul mondo, di quello che lui crede sia vero intorno a lui”.
La squadra italiana non sarebbe la stessa senza il gioco di squadra : i robot comunicano e si coordinano attraverso una rete wireless. Non si scagliano tutti sulla palla, ma si dispongono in base alle informazioni che ricavano sul campo e sulla palla: si autoassegnano il ruolo di attaccante e difensore , si dispongono in fila, l’uno avanza verso la porta avversaria, l’altro retrocede per difendere lo spazio.
Ma è un gioco di squadra anche quello dei ragazzi del team romano: il fulcro di SPQR è il laboratorio del dipartimento. È affollato di ragazzi come Matteo, ora ricercatore, da tre anni attivo per la Robocup, e di ragazzi che vi trascorrono il periodo della tesi o della tesina. Ogni anno si affinano le abilità dei robot, ogni anno le regole della competizione si complicano : i punti di riferimento presenti sul campo si assottigliano, dagli Aibo si passa alla sfida fra umanoidi come NAO. Si veleggia verso il 2050, momento in cui ci si aspetta di assistere ad una Robocup a cui parteciperanno robot capaci di giocare una vera e propria partita di calcio.
Ma i ragazzi non vedono nel calcio il futuro delle loro creazioni: sognano robot completamente indipendenti dall’uomo, non teleguidati, capaci di sostituirsi all’uomo nei compiti più pericolosi , nelle missioni più impervie.
Ci lavoreranno i ragazzi del dipartimento di Informatica e Sistemistica dell’ateneo romano, ci lavoreranno i 250 giovani studenti che si sono affollati alla RomeCup. Serissimi a tratti, scalmanati nell’esultanza, si stupiscono degli Aibo e sognano di addestrarne uno. Ieri si sono sfidati con i loro robottini nelle competizioni più disparate: hanno assemblato i loro rappresentanti robotici e li hanno programmati affinché si districassero fra labirinti, riconoscessero fonti di luce e di gas, lottassero per spingere gli avversari fuori da un ring, danzassero sulle note di Strauss.
Alcune delle scuole che hanno partecipato e che hanno esposto i propri progetti aderiscono al programma Robodidattica , finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dalla Fondazione Mondo Digitale, spiega a Punto Informatico il dottor Romano Santoro, supervisore del progetto nell’ambito delle scuole romane: i docenti che hanno avviato la sperimentazione ritengono che la robotica nelle scuole possa instillare nei ragazzi la passione per le discipline scientifiche.
a cura di Gaia Bottà