La stagione 2023-24 della Serie A verrà ricordata come quella in cui la squadra detentrice dello scudetto naviga in acque tribolate a metà classifica, per il pallore di un mercato invernale davvero fiacco e per l’entrata in vigore della piattaforma Piracy Shield. Dopo mesi di rinvii, quest’ultima è stata accesa a inizio febbraio e, nei giorni scorsi, ha affrontato il suo secondo weekend di attività. Come è andata?
Le prime due settimane del Piracy Shield
Dal sito ufficiale di AGCOM sappiamo che i provvedimenti adottati hanno portato al blocco di nove indirizzi IP. Più precisamente, otto dal 2 al 4 febbraio e uno dal 5 al 7 febbraio. Manca un ulteriore aggiornamento relativo all’ultimo turno, ma i numeri sembrano comunque troppo contenuti perché l’iniziativa possa considerarsi già efficace nell’azione di contrasto al fenomeno della pirateria.
Questo senza prendere in esame un altro fattore, non di secondaria importanza se l’obiettivo è quello di contrastare la visione delle partite in diretta streaming attraverso canali non autorizzati. Il riferimento è alle applicazioni mobile che le trasmettono. È sufficiente una ricerca su Play Store per trovarne a decine. Alcune hanno raccolto centinaia di migliaia di download. Ciò che fanno è rendere i match visibili a chiunque, dagli schermi degli smartphone e dei tablet.
AGCOM chiama in causa Google
Il primo sito nostrano a sollevare il problema è stato DDay, che sulla questione ha interpellato direttamente Google, ottenendo in risposta che il raggio d’azione della piattaforma Piracy Shield è limitato ai provider che forniscono l’accesso ai siti
e non a quelli che si occupano dei servizi di hosting come Google Play Store
.
Non si è fatto attendere il successivo commento di Massimiliano Capitanio, Commissario di AGCOM, che ha invocato un’alleanza per la legalità
da attuare mediante iniziative autonome dei soggetti privati ispirate all’etica e alla autoregolamentazione
.
In altre parole, seppur non legalmente obbligato dalla normativa su cui poggia Piracy Shield, il gruppo di Mountain View è invitato a prestare maggiore attenzione alla natura e alla finalità delle applicazioni Android distribuite attraverso Play Store.
La palla passa ora nelle mani tra i piedi di bigG, che difficilmente eliminerà con un colpo di spugna tutte le app della categoria dalla propria piattaforma. Dopotutto, i software in questione operano passando da indirizzi IP e da DNS sui quali la società non può esercitare alcun controllo.
Senza le app su Google Play c’è il sideloading
Anche nel caso in cui la cancellazione dovesse essere forzata, coloro intenzionati a vedere le partite aggirando i blocchi antipirateria avrebbero a disposizione il sideloading degli APK. Per i meno esperti, si tratta del processo di installazione delle applicazioni dopo averle scaricate da altre fonti.
La pratica, come noto, costringe ad accettare qualche compromesso sul fronte della sicurezza, ma non è certo ostacolata a livello normativo. Anzi, con l’entrata in vigore del Digital Markets Act in Europa si andrà esattamente nella direzione opposta, concedendo all’utente finale una maggiore libertà di scelta per i download.
Insomma, la soluzione al problema non sembra essere così semplice come Lega Serie A e AGCOM avevano sperato con l’introduzione di Piracy Shield. La sua azione, che ancora deve mostrare e dimostrare la propria efficacia, potrebbe non bastare nemmeno una volta a regime. Rendere irraggiungibile un elenco di indirizzi IP, seppur in modo tempestivo, potrebbe non essere sufficiente.
Ricordiamo infine che un fornitore VPN ha già deciso di abbandonare l’Italia a partire dal 19 febbraio, proprio in conseguenza all’accensione della piattaforma.