“Perché non scrivere una legge che si opponga ai giochi che insegnano ai bambini cattive abitudini di vita, come mangiare cibi poco salutari o usare delle buste di plastica”? Così il giudice Alex Kozinski, fra i membri della giuria di una corte federale, ha respinto l’appello presentato dal governo della California, mirato a scongelare la legge con cui da anni si tenta di catalogare in maniera imparziale i prodotti videoludici e di inibire la vendita di giochi violenti ai minori.
La legge era stata approvata nel 2005: i proibizionismi del legislatore ben si conciliavano con le apprensioni di genitori poco inclini a vigilare sui minori di fronte agli schermi. La legge avrebbe riorganizzato la classificazione dei titoli , delegandola ad un’autorità indipendente e non alla stessa industria videoludica, e avrebbe apposto un lampante contrassegno sui titoli che si fossero dimostrati “patentemente offensivi” sulla base del comune sentire. La legge avrebbe inoltre investito i rivenditori della responsabilità di assicurarsi che nelle mani dei minori finissero solo giochi adatti alle loro menti malleabili: sul capo di coloro che fossero incorsi in una violazione pendeva una sanzione fino a 1000 dollari.
La disposizione era stata tempestivamente bloccata da una corte californiana: a seguito di una denuncia presentata da un’associazione di rivenditori, era stata dichiarata incostituzionale. Lo stesso giudizio di incostituzionalità era stato restituito da un tribunale di grado superiore. Un giudizio ora confermato dalla corte d’appello: sarebbe impossibile attentare alla libertà del cittadino di fruire delle opere videoludiche incardinando una proibizione sulle basi di motivazioni che non appaiono abbastanza solide . Schwarzenegger, governatore della California, aveva promesso di dimostrare ai tribunali la fondatezza delle relazione causale tra violenza giocata e violenza reale. Ma le argomentazioni sulla base delle quali era stata approvata la proposta di legge non hanno saputo convincere la giuria: impossibile tracciare un distinguo tra game adatti e game inadatti, basandosi su una letteratura scientifica che offre risultati estremamente contrastanti.
“Nessuna delle ricerche stabilisce o suggerisce una correlazione tra le attività videoludiche condotte dai minori e reali danni psicologici o neurologici – spiega il giudice Callahan – da ciò si può inferire che non sia ragionevole supporre che il gaming abbia questi effetti”. “È necessario distinguere – spiega il giudice una volta appurato che una solida correlazione non esiste – tra l’interesse dello stato a proteggere i minori da danni psicologici o neurologici e l’interesse dello stato di controllare il pensiero dei minori”.
L’industria videoludica ha accolto con favore la decisione della corte: a parere di Michael Gallagher, a capo della Entertainment Software Association , l’accanimento nel voler sostenere il proibizionismo videoludico si riduce a “uno scialacquamento di denaro pubblico, di tempo investito da parte del governo, di risorse dello stato”. Proteggere i minori da contenuti che potrebbero turbarli, spiegano i rappresentanti dell’industria, è compito delle famiglie , non dello stato o dei negozianti. A concordare con i giudici californiani ci sono quelli di una manciata di stati americani: Louisiana e Michigan , Oklahoma e Illinois hanno stabilito che non si possano imporre delle limitazioni alla vendita di certi titoli. Il senatore Leland Yee, autore della legge californiana, medita di portare il caso di fronte alla Corte Suprema: “Non dovremmo rassegnarci a deporre i nostri tentativi di assistere i genitori nel compito di tenere questi dannosi videogiochi lontani dalle mani dei bambini”.
Gaia Bottà