Molti di loro sono tra i più invisi propagatori di pubblicità oggi attivi in Italia e molti altri devono assorbire il malcontento di orde di utenti insoddisfatti del comparto delle telecomunicazioni, ma tutti condividono condizioni di lavoro che sono spesso carenti, e diritti che vengono talvolta calpestati.
Sono i lavoratori dei call center d’Italia, precari dell’ICT che hanno annunciato una grande manifestazione nazionale . Organizzati da SLC CGIL , il sindacato dei lavoratori del settore della Comunicazione che fa capo alla CGIL, insieme a FISTEL CISL e UILCOMUIL, sfileranno il 19 settembre per le vie di Roma per rendersi più visibili, e ricordare al governo, alle imprese per cui lavorano e a chi affida loro le commesse, che il mercato è fatto di persone e non solo di corsa al ribasso dei prezzi dei servizi.
Molte cose sono cambiate negli ultimi due anni, con la regolarizzazione di numerosi lavoratori che si sono visti riconoscere diritti di base, soprattutto sul fronte inbound , ovvero nei servizi telefonici dedicati al Customer Care, all’assistenza di utenti che cercano un contatto con un’azienda o un fornitore. Una voragine invece ancora aperta la situazione degli operatori outbound , le cui condizioni lavorative sono state spesso denunciate dagli impiegati: redditività delle giornate di lavoro in continua mutazione, abbassamento dei premi produzione, formazione scarsa e via rabbrividendo.
In una nota, SCL CGIL sostiene che “il settore dei call center ha conosciuto in questi anni una profonda evoluzione, con migliaia di lavoratori stabilizzati e con un impegno congiunto dei sindacati e delle istituzioni (ministero del Lavoro, Servizi Ispettivi, INPS, INAIL) per contrastare il ricorso al lavoro precario e irregolare. Questo impegno ha portato anche i principali committenti – soprattutto sull’inbound – ad assegnare nuove commesse tenendo conto del nuovo costo del lavoro e del tentativo di scommettere sulla qualità dei servizi”.
Tutto bene dunque? Non proprio: l’abolizione degli sportelli aperti al pubblico e la trasformazione di ogni contatto tra utente ed impresa in un rapporto telefonico con società esterne rappresenta un mercato ancora acerbo, in cui i negoziati sul valore delle commesse spesso si traducono in servizi di qualità scadente e condizioni di lavoro inaccettabili , per non parlare dei contratti illegali che spesso vengono fatti firmare a questi operatori.
Anche per questo, avverte il sindacato, si lavorerà su alcuni fronti a partire proprio dalla manifestazione del 19 settembre, e in particolare sulla “stabilizzazione di tutti i lavoratori del settore (oltre 30mila i lavoratori ancora con contratto a progetto)”, sulla crescita della qualità e dei nuovi servizi “e non sulla sola competizione su salari e diritti e contro il dumping delle imprese che ricorrono a lavoro nero e al lavoro precario”.
Non solo, alle imprese si chiederà l’applicazione ed il rispetto delle circolari del ministero del Lavoro, si spingerà per un maggior numero di controlli, come quelli che hanno portato alla sanzione di imprese che assumevano a progetto migliaia di dipendenti ma in modo illegale, con contratti ripetuti e fuorilegge. E si chiederà infine, conclude il comunicato, di “introdurre nel settore clausole sociali di tutela occupazionale in caso di cambio di commesse”, un punto chiave per evitare, come succede oggi, che molti operatori perdano il posto di lavoro non appena un committente decide di spostare la commessa per un servizio ad un’altra società di call center: in arrivo nuovi ammortizzatori sociali anche nell’outbound? Il sindacato ci spera, i lavoratori incrociano le dita.