Con 5 miliardi di dollari il caso Cambridge Analytica potrebbe essere chiuso. Lo è, quantomeno, per la Federal Trade Commission statunitense, secondo la quale questa cifra è proporzionata per sancire la chiusura del caso e il “perdono” di Mark Zuckerberg. Poco, secondo alcuni: la gravità dei fatti non può trovare proporzione in una cifra che per Facebook equivale soltanto ad una piccola frazione degli introiti certificati; il giusto, secondo altri: un precedente che equivale ad una ammonizione per una azienda sulla quale dovranno giocoforza gravare grandi responsabilità.
Cambridge Analytica, accordo da 5 miliardi di dollari
Mai una sanzione della FTC aveva raggiunto una cifra di questo rango, ma al tempo stesso raramente si era affrontato un tema tanto delicato per la privacy degli utenti (e per gli equilibri democratici degli Stati Uniti, anche se quest’ultimo aspetto rimane ancora tutto da dimostrare). L’accordo tra FTC e Facebook dovrà ora trovare il beneplacito del Dipartimento di Giustizia, ma la cifra potrebbe essere una valida ragione per far ritenere congrua la misura nei confronti del social network. Dopo mesi di discussione, l’intera questione Cambridge Analytica potrebbe pertanto chiudersi con un accordo pecuniario e poco più, seppellendo l’incredibile fuga di dati sotto una montagna di biglietti verdi.
La FTC avrebbe accettato l’accordo sulla base di una votazione terminata con 2 voti contrari e 3 favorevoli. Varie le voci contrarie sollevatesi inoltre in queste ore, perché alla base di tutto è ravvisata la sostanziale mancanza di un giro di vite che costringa Facebook a maggiori controlli. Facebook, anzi, potrà continuare a vendere i propri dati ad entità terze, sebbene in regime di maggior trasparenza circa la natura e l’uso dei dati. Nulla di confrontabile con la GDPR, comunque, il che sembra lasciare a Facebook sostanziale mano libera sui dati degli utenti.
La reazione in borsa? Positiva: il titolo è cresciuto dell’1%, il che ben esplica quanto gradita sia stata la misura contenuta nell’accordo. La parola passa ora al DoJ.