C’è chi ha fatto notare come possa essere definito il caso più eclatante di violazione del copyright nell’intera storia del Canada. Una massiccia class-action che potrebbe costare ai colpevoli una cifra che spazia tra i 50 milioni e i 6 miliardi di dollari (tra 34 milioni e 4 miliardi di euro). Ma non si tratta dei soliti ignoti del torrentismo , né di curiosi alfieri web della psico-simulazione : le accuse hanno puntato il dito contro la Canadian Recording Industry Association , contro le quattro grandi sorelle canadesi del disco.
Sony BMG, EMI Music, Universal Music e Warner Music – o meglio le rispettive divisioni nella terra degli aceri – sono state citate per uno sfruttamento ripetuto nel corso degli anni di una vasta serie di brani, senza aver ottenuto lo specifico permesso da parte degli artisti. Si è parlato di circa 300mila canzoni , inserite in svariate compilation o dischi dal vivo, a partire dal catalogo di musicisti noti e meno noti, da Bruce Springsteen al deceduto trombettista jazz Chet Baker, i cui eredi hanno recentemente aderito alla class-action portata avanti presso una corte canadese.
Come ha accuratamente spiegato Michael Geist, professore di legge all’ University of Ottawa , la causa legale nei confronti della CRIA ha avuto origine da una particolare pratica adottata dalle major, definita dall’accusa con l’espressione sfrutto oggi, semmai pago in seguito . Le grandi etichette hanno in sostanza la facoltà legale di creare, stampare e distribuire sul mercato i dischi, inserendo una voce relativa alla licenza sul copyright del vari brani nella lista delle cose da fare.
E pare che queste liste siano diventate parecchio lunghe, stando ai capi d’accusa, ma anche agli stessi responsabili delle major canadesi che ne avrebbero confermato l’esistenza. In particolare trattasi delle cosiddette pending list , ovvero elenchi di brani le cui licenze devono ancora essere confermate dagli aventi diritti, gli artisti stessi. Queste pending list risalgono agli anni ’80, quando veniva modificata la legge canadese sul copyright, in particolare nel passaggio da un’unica licenza obbligatoria alla necessità di autorizzare ogni singolo uso relativo ai contenuti.
Le major del disco avrebbero così ignorato per due decadi la questione sulle autorizzazioni, evitando di pagare alcuna royalty ai musicisti sfruttati in compilation album e dischi dal vivo. Ora, la massiccia class-action ha chiesto alla corte di sanzionare la pratica delle pending list , proponendo una somma di 20mila dollari per ogni violazione del copyright, da moltiplicare ovviamente per la cifra di 300mila canzoni. Prevedibilmente, c’è chi ha fatto notare una irritante contraddizione all’interno della gestione di attori fortemente impegnati nella lotta al file sharing illecito, che trascurerebbero colpevolmente il rispetto del diritto d’autore.
Mauro Vecchio