Due casi di apparente censura su Facebook stanno scuotendo il mondo del web: nelle stesse ore sono stati oscurati senza alcuna motivazione apparente, i profilo di Luciano Vecchi , coordinatore del Dipartimento affari internazionali del Partito Democratico ed il profilo di Vittorio Zambardino , storica firma del quotidiano La Repubblica (il suo account è stato ora riattivato).
Luciano Vecchi, che fa parte del Comitato di presidenza nazionale del Partito Democratico, in particolare si è rivolto allo scrivente in quanto ritiene di non avere mai utilizzato il profilo utente in violazione dei peraltro fumosi termini d’uso indicati dal popolare social network, essendosi limitato a rispondere ai numerosi amici che lo contattavano. Lo stesso Vecchi ha cercato di spiegare la vicenda all’indirizzo fornito dal social network, dal senza ottenere, ad oggi, alcuna risposta.
Al di là dei casi in questione cosa si può fare dal punto di vista giuridico se si ritiene di essere stati esclusi senza motivo dal social network? La prima azione è intuitiva e consiste nel far quello che tutti i protagonisti di queste incresciose vicende (dal lato del social network, si intende) hanno fatto, cioè inviare una comunicazione all’indirizzo dichiarato nella comunicazione di sospensione dell’account e sperare nel “buon cuore” e nella comprensione (nel senso anche linguistico del termine) di coloro che sono dall’altra parte dello schermo i quali, a giudicare dai commenti più volte apparsi in rete, però non dovrebbero essere a conoscenza delle normative italiane in materia.
Una strada ulteriore, in caso di mancata risposta in tempi ragionevoli, potrebbe essere quella del ricorso al Garante della Privacy, il quale però va detto, potrebbe essere competente a decidere in caso di cancellazione dei dati e di successivo utilizzo da parte del portale o dalle società collegate oppure potrebbe forse essere chiamato ad irrogare una sanzione amministrativa legata all’incompleta (o inesistente, a seconda del punto di vista) informativa obbligatoria per l’interessato.
Ma se l’interessato non vuole cancellare i propri dati ed anzi vuole rimanere nel social network perché oramai senza i social network probabilmente “non si esiste”, ci sono strumenti che possono essere adottati?
La strada più radicale di tutti sembrerebbe essere, ancora una volta, quella legata al nostro diritto penale. Il nostro codice penale prevede infatti tra i reati contro la persona anche quelli legati alle interruzioni delle comunicazioni informatiche o telematiche (ivi compresi ovviamente quelli compiuti ai danni degli utenti dei social network). In particolare esistono due disposizioni del codice penale che si potrebbero applicare alla cancellazione improvvisa di un account dei social network, l’Art. 617-quater rubricato “Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche” ovvero l’ Art. 617-sexies denominato “Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche”. Queste norme proteggono dall’intercettazione (e dall’interruzione illecita) dei flussi telematici tra soggetti determinati.
Il social network che, tramite i propri dipendenti ed addetti, interrompesse il flusso di comunicazioni intercorrenti tra soggetti che si scambiano messaggi potrebbe dunque compiere un illecito, anche se tale attività fosse stata posta in essere materialmente non da individui “in carne ed ossa” ma da software che periodicamente sembrerebbero controllare il flusso di comunicazioni che avviene sul portale del social network.
Va anche ricordato che il social network in base all’art. 24-bis del D.Lgs. 231/01 potrebbe rispondere anche di quella che viene impropriamente chiamata responsabilità penale delle persone giuridiche per non aver adottato le misure organizzative idonee ad impedire la commissione dell’illecito ai danni dell’utente.
La gratuità dell’utilizzo poi da parte degli utenti non può essere considerata un elemento da cui far derivare una mancanza di responsabilità da parte del social network (o peggio un potere coercitivo sulle nostre comunicazioni), le comunicazioni in rete infatti, lungi dall’appartenere ad un proprietario, devono essere considerate elemento integrante della personalità dell’individuo e come tali protette, a prescindere dalla circostanza che vi sia un soggetto che ci mette a disposizione determinati strumenti.
Diversamente argomentando infatti dovremmo ritenere lecito ad esempio il “sequestro” da parte del personale di un albergo delle lettere che stiamo per inviare sulla carta intestata dello stesso albergo perché ai dipendenti dell’albergo non piace quello che stiamo scrivendo. A meno che, naturalmente tali attività (ma dubito che sia questo il caso della maggior parte di noi) possa configurare a propria volta un illecito.
Fulvio Sarzana di S.Ippolito
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