Tutto è iniziato dal festival di Sanremo: tra un annuncio e l’altro di Gianni Morandi sulla scadenza del pagamento del canone (in un paio di occasioni accostata al 29 settembre e non al 29 febbraio, confondendo ancora di più le acque), sono passati gli spot che hanno intimato il pagamento della tassa anche a tutte quelle aziende che hanno pc, tablet o smartphone.
Sul canone RAI già vigeva non poca confusione : la diffusione di computer e altri dispositivi atti alla connessione Internet negli ultimi anni ha reso quasi superfluo in alcune abitazioni l’elettrodomestico TV, prima imprescindibile per le famiglie italiane tanto da raggiungere percentuali di penetrazione praticamente plebiscitarie.
A creare confusione, in particolare, il fatto che quando si parla di canone se ne prescrive il pagamento “per la detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabile alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive”. E che tale denominazione sarebbe ora da intedersi estesa anche “al di fuori dell’ambito familiare, compresi computer collegati in rete ( digital signage e similari) indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti”.
Negli anni l’Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori (ADUC) ha più volte interpellato gli organi competenti per sapere nello specifico quali apparecchi siano effettivamente soggetti al canone/tassa oltre il televisore e, recentemente, un’interrogazione parlamentare presentata dai senatori Donatella Poretti e Marco Perduca aveva cercato di chiedere ancora una volta chiarezza su una denominazione che sembra senza esclusioni rendere il canone una tassa dovuta da tutte le aziende (quale non ha un dispositivo digitale ad oggi?).
In precedenza, peraltro, l’ormai ex ministro Romani era stato ancora più generico, e aveva parlato di una tassa dovuta da chiunque avesse una fornitura di elettricità.
Insomma, se non era una novità che le famiglie dovessero pagare per qualsiasi dispositivo atto alla ricezione del segnale radiotelevisivo (definizione che attendeva ancora una definizione, peraltro), la confusione è massima se si parla delle aziende e se queste si vedono recapitare la richiesta di canone tra la posta. Si tratta d’altronde di un balzello non da poco, dal momento che per queste può andare da 200 fino a 6mila euro l’anno.
Le sanzioni eventuali, poi, sono ancora maggiori e terribilmente pressanti per le aziende che sono obbligare dall’art. 17 del decreto “Salva Italia” a comunicare sulla dichiarazione dei redditi il numero del proprio abbonamento speciale alla TV.
La cassa di risonanza di Sanremo, che oltretutto quest’anno ha trovato negli utenti di Twitter un peculiare (e ironico) gruppo d’ascolto, ha tuttavia innescato la polemica online: proprio dal servizio di microblogging è partita la protesta, all’insegna del sarcasmo, ma anche dell’indignazione.
Così hanno preso piede i trending topic #raimerda e #nonpagheRAI : si parla di “terrorismo fiscale contro chi lavora autonomamente alla faccia degli incentivi alle imprese e alla digitalizzazione” e c’è chi si chiede se deve pagare anche per il microonde , per gli orologi digitali o anche, in un ardito paragone con la qualità di alcuni programmi, per i bagni .
Oltre alla Rete che rappresenta solo la parte più visibile della protesta, anche i rappresentanti di categoria sono naturalmente in rivolta, dal medici ai commercianti: il Canone RAI indiscriminatamente esteso alle aziende è considerato inaccettabile per Rete Imprese dal momento che va a colpire “strumenti come i computer che gli imprenditori utilizzano per lavorare e non certo per guardare i programmi Rai”, e sulla stessa linea la Confederazione Italiana degli esercenti commerciali (Cidec) che parla di un balzello che va a colpire chi cerca di fare impresa in Italia anche con questa crisi economica. “Ormai le imposte ai danni delle imprese – continua Cidec – non si contano più. Ci mancava solo il canone Rai e adesso siamo davvero al completo”.
La confusione che regna è dunque massima: non è ancora chiaro come e perché è dovuto il Canone, se cioè deve pagare anche un PC se non ha una connessione Internet a disposizione o se, pur connesso, non ha, per esempio, installato Microsoft Silverlight, requisito tecnico necessario alla visione della programmazione del servizio pubblico. Come sembra d’altronde strano che non si sia pensato per il sito RAI ad una soluzione ad accesso basato sul login, magari legato al numero di abbonamento.
L’ intervento cui la RAI è stata costretta dalla protesta , poi, non ha certo chiarito molto la questione, anzi: in un breve comunicato ufficiale si è limitata a riferire che non si riferisce “al canone ordinario (relativo alla detenzione dell’apparecchio da parte delle famiglie) ma si riferiscono specificamente al cosiddetto canone speciale cioè quello relativo a chiunque detenga – fuori dall’ambito familiare (eg: Imprese, società, uffici) – uno o più’ apparecchi atti o adattabili alla ricezioni di trasmissioni radiotelevisive”. E che è da pagare “in attesa di una più puntuale definizione del quadro normativo-regolatorio”.
Ad aggiungere, se possibile, ancora più dubbi è poi l’ intervista concessa da Roberto Tortorici, responsabile degli abbonamenti RAI in Toscana, che smentisce l’ipotesi per cui siano state inviate richieste di pagamento indiscriminate a tutte le aziende e a tutti coloro che sono dotati di partita IVA e “che possiedono anche un personal computer”. Tortorici dice anzi che i “destinatari della richiesta non sono gli idraulici, gli architetti o gli ingegneri che usano il PC per la loro attività. La richiesta di versamento del canone RAI è rivolta specificatamente a chi utilizza questo strumento collegato a un server da cui arrivano immagini televisive, fotografie, spot pubblicitari”. Insomma, se il dirigente toscano dice, da una parte, che non tutti devono pagare, dall’altra insinua che la RAI sappia quali computer mostrano immagini televisive, in un’ipotesi di tecnocontrollo difficilmente praticabile.
Claudio Tamburrino