La polemica era infuriata con l’avvento di Ubuntu 12.10 e delle discusse funzioni legate all’advertising: gli utenti erano furenti per essere stati venduti al marketing, insieme alle loro chiavi di ricerca. Nei mesi seguenti, c’è chi si è industriato per restituire loro un briciolo di privacy. Canonical non ci sta: se non si può impedire che la community operi a proprio piacimento col codice, forse è possibile agire brandendo le ragioni della proprietà intellettuale, quella legata ai marchi registrati.
Michah Lee, sviluppatore e attivista in forze ad EFF, ha assemblato poche stringhe di codice, approfittando proprio della natura open source di Ubuntu. Poche righe da copiare nel terminale per evitare che ogni ricerca effettuata nell’interfaccia Dash venga venduta da Canonical a terze parti , un aggiustamento per rimediare a quello che EFF stessa aveva definito un vero e proprio attentato alla privacy. Lee ha riversato queste istruzioni su un sito personale, FixUbuntu.com .
Nel giro di un mese, la reazione di Canonical: ha fatto pervenire a Lee un’ ingiunzione con la quale gli raccomanda di rimuovere logo e nome di Ubuntu dal proprio dominio. “Abbiamo gradito molto il tuo interesse nello scrivere di Ubuntu – si legge nella missiva – Ma se da un lato apprezziamo la passione che Ubuntu ispira in te, dobbiamo altresì essere fermi nell’assicurare che i trademark di Ubuntu siano usati correttamente”. Sfortunatamente, Canonical prevede che il marchio di Ubuntu possa essere impiegato solo dietro autorizzazione, e altrettanto sfortunatamente, spiegano i legali, in questo caso non è possibile accordarne l’uso: il marchio e il logo usati su FixUbuntu “potrebbero generare confusione e malintesi, spingendo gli utenti a credere che il sito sia associato a Canonical o Ubuntu”.
Ma Lee mostra di sapere il fatto suo , memore dei numerosissimi casi di abuso della proprietà intellettuale e di rivendicazioni snaturate dai detentori di marchi e contenuti solo per agire contro attori sgraditi . Si tratta di uso legittimo, secondo Lee e secondo i colleghi di EFF, pronti a rispondere a Canonical: l’unica concessione alla quale si cede è la rimozione del logo dal sito e l’aggiunta di un disclaimer, che renda esplicito agli utenti quello che già appariva evidente.
Lee si rivolge dunque ai “rimbambiti”, ai “legali” e a coloro che appartengono ad entrambe le categorie, così da fugare ogni tipo di confusione : “ovviamente questo sito non è approvato da Canonical – recita la precisazione di Lee – E il nostro uso del termine Ubuntu, coperto da trademark, è meramente descrittivo, aiuta il pubblico a trovare questo sito e a comprenderne il contenuto”.
Lo sviluppatore si ritiene al riparo da qualsiasi tipo di rivendicazione, e lancia una provocazione: l’unico modo con cui Cananical potrebbe convincerlo a chiudere il sito è quello di disabilitare di default le funzioni di Ubuntu legate all’advertising. “Il software open source si basa sulla gioia che si dovrebbe nutrire rispetto ai cambiamenti, alle versioni alternative e alle opere derivate che le persone fanno delle tue cose – ricorda Lee – Ma il comportamento di Canonical sembra mostrare proprio il contrario”.
Gaia Bottà