La lettera rivolta a Barack Obama vanta la “firma” di decine di protagonisti dell’open source, inclusi i dirigenti di Novell e Red Hat, e si sforza di comunicare a “Mr. President” il perché la sua amministrazione dovrebbe considerare il codice aperto per un utilizzo il più possibile esteso all’interno della burocrazia federale.
Gli executive evidenziano i vantaggi nell’approccio “open” ai problemi e al software, la trasparenza di un sistema che “non ha scatole nere” e fa della trasparenza la sua arma migliore contro i bachi, il codice mediocre e quant’altro. Non avere segreti da nascondere “significa un prodotto migliore per tutti – continua la lettera – perché c’è visibilità a ogni livello dell’applicazione, dall’interfaccia utente all’implementazione dei dati. Inoltre, il software open source garantisce l’indipendenza da piattaforme specifiche, rendendo le installazioni più veloci, più facili e in grado di offrire molti benefici ai nostri cittadini”.
Naturalmente non si pretende di chiedere a Obama di scegliere acriticamente le soluzioni open in tutti i casi, bensì di “rendere obbligatoria la valutazione del tipo di codice delle applicazioni (aperto o chiuso) come parte del processo di acquisizione tecnologica del governo, proprio come la considerazione dell’accessibilità ai disabili è obbligatoria oggigiorno”.
L’industria dell’open source, secondo i suoi protagonisti, “sta cambiando il mondo dello sviluppo software” proprio come Obama ha “promesso di cambiare la politica americana. I valori dell’open source rispecchiano quelli da lei promossi nella sua campagna: speranza, cambiamento e apertura”.
Come ha dimostrato sin dalle sue prime iniziative una volta alla Casa Bianca, Barack Obama è certamente molto più sensibile del suo predecessore alle problematiche tecnologiche e della società dell’informazione: la speranza è che, se non se ne occuperà in prima persona, almeno passi i suggerimenti esposti nella lettera a chi di dovere della sua amministrazione.
Alfonso Maruccia