Google, Apple, Adobe e Intel hanno negoziato un nuovo accordo con i propri dipendenti danneggiati dai patti di non assunzione che per anni hanno bloccato il mercato del lavoro della Silicon Valley: la class action avviata nel 2011 potrebbe trovare conclusione, a patto che la nuova proposta di risarcimento venga considerata equa dalla giudice Lucy Koh, incaricata di valutare l’accordo stragiudiziale.
La denuncia dei lavoratori ha fatto emergere in questi anni i dettagli delle pratiche adottate dai colossi della tecnologia per contenere la concorrenza, limitare i salari e scoraggiare i trasferimenti dei rispettivi dipendenti. I 64.613 impiegati che hanno aderito all’azione collettiva chiedevano un risarcimento di 3 miliardi di dollari, che avrebbe potuto lievitare fino a 9 miliardi, ma nel mese di aprile avevano scelto di accettare un rimborso di 324 milioni. La giudice Koh era dunque intervenuta per bloccare l’accordo: 3.750 dollari di danni per ogni partecipante, al netto delle spese legali, si sarebbe rivelata una cifra affatto ragionevole per chiudere il contenzioso.
I lavoratori, spalleggiati dalla giustizia, avevano dunque ritrovato fiducia : i documenti depositati in tribunale dalle aziende rivelano che si è raggiunto un nuovo accordo, questa volta dal valore di 415 milioni di dollari, comprese le spese legali , che si stimano entro gli 81 milioni di dollari, vale a dire il 19 per cento della somma. Agli impiegati restano da spartirsi 334 milioni, meno dei 380 milioni di dollari, fissati dal giudice come soglia di ragionevolezza.
L’accordo stragiudiziale dovrà di nuovo passare dall’approvazione della giustizia, ma non è certo l’unico contenzioso ancora aperto: nel mese di ottobre sono state chiamate in causa anche Oracle e Microsoft , già investita dalle accuse dei lavoratori nel 2009 in un caso che si è concluso con un accordo siglato con il Dipartimento di Giustizia statunitense.
Gaia Bottà