Ha caratterizzato il 2021, ma al 2022 non ci è arrivato: il Cashback di Stato è stato il ramo tagliato del progetto Cashless Italia con il Governo che ha spento anzitempo ogni possibilità di veder rilanciati sia Cashback che Super Cashback. I principi a monte della decisione sono noti: i molti problemi che il sistema creava e le svariate avversità politiche che il progetto aveva accumulato. Tuttavia la decisione era stata legata a valutazioni di carattere economico, per le quali si lamentava al contempo una scarsità di elementi che avrebbero potuto comprovare la bontà del progetto. A distanza di mesi, un rapporto del Dipartimento delle Finanze del MEF (pdf) analizza più a fondo la situazione arrivando a medesima conclusione: mancano elementi oggettivi in grado di comprovare la bontà del Cashback e di supportare quindi la sua eventuale riproposizione.
E’ molto probabilmente sulla base di conclusioni di questo tipo che il Governo si è sfilato ed ha tenuto in piedi soltanto una Lotteria degli Scontrini ora in fase di valutazione per una rivisitazione delle dinamiche di gioco.
Cashback, nessun motivo per il rilancio
Sommarie evidenze sembravano poter corroborare l’idea per cui il Cashback avesse restituito risultanze positive in termini di lotta al cashback. Il report attuale non nega questa possibilità, seppur considerando tali evidenze poco oggettive. I dati vanno infatti scremati delle molte variabili in ballo, quali il tempo di lockdown in cui il progetto nasceva e altri elementi contestuali che hanno reso il 2021 particolarmente complesso. Analisi postume più approfondite sembrano depotenziare le conclusioni antecedenti, rendendo in particolare più sterile il cashback in un computo basato sui segmenti di mercato a maggior rischio evasione. Il tutto arrivando ad una conclusione di questo tipo:
sulla base di stime preliminari e limitate dalla scarsità dei dati disponibili, si può affermare che il “Progetto Cashback” ha contribuito a stimolare i pagamenti elettronici e a rafforzare la digitalizzazione del Paese, ma non sembra aver conseguito effetti significativamente differenti per i settori a più elevata propensione all’evasione fiscale.
Il fenomeno dell’evasione è complesso e il Progetto Cashback avrebbe avuto soltanto valenza parziale ed asimmetrica: è stato incoraggiato l’acquirente, che ha dimostrato una rapida evoluzione verso i pagamenti digitali, ma non c’è stata pulsione alcuna nei confronti dell’esercente (da cui sono non a caso giunte le maggiori resistenze). La lotta all’evasione è anzitutto coercizione e questo fenomeno non ha avuto luogo sulla sola pressione del Cashback: per questo motivo il MEF non lo ritiene lo strumento adatto per questa finalità.
Gli incentivi del cashback sono stati orientati a incoraggiare le transazioni con pagamenti elettronici, ma non sono né di entità sufficiente a promuovere il contrasto di interessi tra acquirente e venditore al fine di ridurre l’evasione con consenso, né mirati ai settori con maggiore propensione all’evasione. Anche considerando l’impatto positivo del cashback generalizzato e, quindi, includendo i settori a maggiore intensità di evasione, la misura risulterebbe in ogni caso molto onerosa e non strettamente “mirata” alle transazioni effettuate nei settori a più alta propensione all’evasione.
In conclusione […] la valutazione ex-post del “Progetto Cashback” fornisce risultati che non suggeriscono di riproporne l’adozione come strumento indiretto di riduzione dell’evasione fiscale e dell’economia sommersa.
Il Governo ha così deciso di dirottare altrove i miliardi stanziati per un progetto le cui risultanze apparivano generalmente buone, ma nello specifico incapaci di dimostrare la propria capacità di raggiungere lo scopo. Il progetto è stato pertanto abbandonato ed i dati rientrano nella più generale case history della gamification applicata all’economia, il cui catalogo non ha al momento grossi casi di successo da poter annoverare.