Cashback, qualcuno lo vorrebbe messo da parte

Cashback, qualcuno lo vorrebbe messo da parte

La stampa nazionale continua le pressioni sul Cashback con una campagna che sa di trasversale posizionamento politico per dirottare altrove i fondi.
Cashback, qualcuno lo vorrebbe messo da parte
La stampa nazionale continua le pressioni sul Cashback con una campagna che sa di trasversale posizionamento politico per dirottare altrove i fondi.

Il Cashback di Stato è nato con la finalità di contribuire alla compressione del denaro contante circolante attraverso la promozione dei pagamenti digitali (al fine di contribuire all’emersione dell’economia sommersa) e morirà come strumento di posizionamento politico (ennesimo tassello di una campagna elettorale mai sopita). Nessun dubbio in proposito, anche e soprattutto per il modo in cui il tema è stato trattato nelle ultime settimane, tirato per la giacchetta come uno dei vessilli del Governo Conte-bis ed affondato o difeso di conseguenza.

“Sarebbe meglio” un dibattito sereno sul cashback

L’originalità dell’approccio meriterebbe un dibattito – sia pubblico che politico – più onesto ed aperto, scevro dai “si dice che” con cui in queste ore se ne sta prefigurando la fine con titoli da clickbait ed analisi vuote di contenuto. La realtà, infatti, è che:

  1. il cashback non terminerà improvvisamente perché l’impianto si è messo in moto e milioni di italiani hanno un diritto ormai acquisito da rivendicare;
  2. il cashback sarà rivisto perché su questo punto c’è unanime concordia: vi sono alcuni aspetti da migliorare e sul piatto non c’è quindi il “se”, ma il “come”.

Lo strascico polemico di queste ore è frutto più che mai di queste frizioni politiche tutte interne ad un Governo che è tutto fuorché coeso, ma tenuto assieme da un interesse di Stato che – sotto il cappello di Mario Draghi e di fronte al nemico comune della “terza ondata” – raccoglie i cocci di un Paese che guarda ai vaccini come ad una liberazione dalle tensioni accumulate. La cosa si fa a maggior ragione evidente nelle argomentazioni addotte: “sarebbe meglio dirottarli sulle famiglie in difficoltà”, “sarebbe meglio dirottarli sui ristori per le aziende”, “sarebbe meglio dirottarli sui contributi per le assunzioni”, eccetera. Ad ogni “sarebbe meglio” si crea un cluster aggiuntivo di nemici al Cashback (ed alla lotteria degli scontrini come suo corollario), ma tutto ciò in un dibattito privo di numeri, dimostrazioni e ragionamenti. “Sarebbe meglio” come posizionamento politico, come messaggio al Presidente del Consiglio, come indicazione programmatica. Pochi, del resto, si spingono ad immaginare una sospensione immediata del programma: i più ottimisti ne tratteggiano un accorciamento di un semestre, terminando il tutto a fine 2021.

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“Sarebbe meglio” cercare di capire quale impatto abbia avuto fino ad oggi il cashback e se stia raggiungendo le finalità per cui è stato immaginato. Comprime il contante circolante? Ha effettivamente stimolato i pagamenti digitali? Al netto dei furbetti e di altre deviazioni, eliminabili con qualche emendamento al regolamento iniziale: il cashback sta sortendo gli effetti auspicati? Il ragionamento sta tutto in questa disamina, come dovrebbe essere per qualsiasi progetto: promosso se raggiunge le finalità, bocciato se non è in grado di raggiungerle. Ma fin qui di numeri se ne vedono molti meno che non titoli-strillo intrisi di “sarebbe meglio”.

Nel frattempo, al netto della classifica sui partecipanti al super-cashback, si contano 7,9 milioni di aderenti al programma, 289 milioni di transazioni elaborate, 14 milioni di strumenti di pagamento attivati e 6,8 milioni di utenti con transazioni valide da gennaio ad oggi. Siano questi i numeri su cui Mario Draghi dirà la sua.

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Pubblicato il
8 mar 2021
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