Venerdì pomeriggio è calata sul web italiano la bomba: due responsabili della divisione italiana di Google sono finiti sotto inchiesta perché accusati di “concorso in diffamazione aggravata” a causa del tristemente celebre video pubblicato su Google Video in cui un ragazzo down di Torino viene picchiato da coetanei. Nonostante la pronta rimozione del video stesso da parte di Google, avvenuta a pochi giorni dalla pubblicazione, la ONLUS Vivi Down ha sporto denuncia per diffamazione e il PM Francesco Cajani di Milano, dopo l’iscrizione nel registro degli indagati dei rappresentanti di Google, ha disposto la perquisizione dell’azienda.
Gli accertamenti in quella sede sarebbero dovuti alle necessità di individuare il domicilio dei manager Google, due cittadini statunitensi, nonché di approfondire le modalità con cui i video vengono pubblicati dagli utenti sul celebre servizio del portalone americano. A dare corpo all’azione potrebbe essere intervenuta una recente e celebre sentenza del Tribunale di Aosta che equipara la responsabilità dei gestori di siti a quelle di un direttore responsabile (vedi: I blogger? Sono direttori responsabili di Daniele Minotti). Una indagine che secondo Guido Camera, avvocato della ONLUS, “è un passo avanti importante, perché può contribuire a mettere chiarezza nel mondo di Internet. La decisione della Procura di Milano è corretta in fatto e in diritto”. “Tanti anni fa sequestravano le BBS per cercare non si sa cosa, oggi perquisiscono la sede italiana di Google”, chiosa invece Mauro Lupi, presidente di AdMaiora .
Le reazioni alla notizia sono state immediate.
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni ha invocato nuove norme. “Ritengo – ha dichiarato – che la decisione della procura sia un motivo in più perché il Parlamento riveda l’assetto normativo in materia. Come ho più volte sostenuto non possono esserci due pesi e due misure, uno per carta stampata e tv e uno per la rete internet. Il rispetto della dignità umana è uno solo”. Secondo Fioroni “il principio di responsabilità non può essere declinato a seconda del mezzo di trasmissione su cui viaggia un reato”.
A proposito di Fioroni sul sito della Margherita si legge in queste ore che “per arginare i fenomeni che portano i giovanissimi a riprendere le proprie bravate ai danni dei più deboli per poi addirittura diffonderle via Internet, il Ministro e il Governo stanno, nel concreto, discutendo per rivedere la normativa che regolamenta l’accesso alla rete web e l’utilizzo dei videogiochi”.
Sulla necessità di nuove norme si è espressa anche la parlamentare di Forza Italia Maria Burani Procaccini , nella scorsa legislatura a capo della Commissione bicamerale per l’infanzia. Ha dichiarato che la diffusione in rete di questo genere di immagini e le difficoltà che si avvertono nell’impedirla indicano l’esistenza di un vuoto normativo . Secondo Procaccini, di questo buco legislativo “certamente si gioveranno anche i signori di Google sotto inchiesta per le immagini del ragazzo di Torino pestato”. Ha quindi introdotto una proposta di legge che “colma questa lacuna con il divieto assoluto ai motori di ricerca ed ai server di divulgare immagini inviate da infraquattordicenni e con la clausola del permesso genitoriale per quelli inviati da adolescenti della fascia fra 14 e 17 anni. Le violazioni saranno punite con la chiusura dei siti e degli interi motori di ricerca, si potrà agire anche d’ufficio e saranno previste pene pesanti per i trasgressori, con l’inasprimento delle pene per i minori e per i genitori correi”.
Da parte sua Google Italia, per bocca del responsabile delle pubbliche relazioni Stefano Hesse , ha confermato la massima collaborazione dell’azienda con la polizia e ha ricordato che, non appena segnalato, il video è stato rimosso. “Vogliamo cogliere l’occasione – spiega Hesse a Punto Informatico – per dichiarare tutta la nostra comprensione per il ragazzo e la propria famiglia e il nostro dispiacere per il fastidio che il video ha causato. Google collabora in ogni caso da tempo con le forze dell’ordine che, come anche questa volta, hanno seguito i canali legali appropriati per lavorare con noi”.
Hesse si è dovuto prodigare in queste ore per spiegare alla stampa il funzionamento di Google Video, portale di video sharing che come ben sanno i lettori di PI non prevede un controllo redazionale preventivo su quanto viene pubblicato dagli utenti. Un filtro che sarebbe impossibile applicare, vuoi perché limiterebbe le opportunità di fruizione dei servizi vuoi perché la mole di contenuti caricati dagli utenti supera di gran lunga la possibilità di un simile controllo.
“Quello che facciamo – ha spiegato Hesse a laRepubblica – è tirare giù i contenuti illegali quando ce ne accorgiamo. Il video era evidentemente contrario alle nostre policy, infatti l’abbiamo cancellato immediatamente, appena ci è stato segnalato”.
Google ha anche spiegato di voler sperimentare “tecnologie in grado di individuare automaticamente i contenuti illegali. Ma non è un’impresa facile. Per fortuna ci siamo accorti che il filtro più importante è il controllo della comunità. Sono gli stessi utenti di Google, che appena vedono qualcosa di anomalo, provvedono a segnalarcelo”.
Una realtà a cui accenna tra gli altri Roberto Dadda , celebre informatico ed esperto di sicurezza, secondo cui “di fatto il controllo viene esercitato: i contenuti per esempio pedofili che solo una decina di anni or sono imperversavano nella rete, sono praticamente scomparsi a meno che non si sappia dove andare a trovare i siti criminali che li offrono ancora. Ovviamente un controllo puntuale su quanto gli utenti caricano non è ragionevolmente ipotizzabile, ma ogni sito offre la possibilità agli utenti di segnalare contenuti non appropriati in modo che nel caso possano essere tolti”.
E mentre qualcuno avverte che “Cosa abbiamo davanti non lo abbiamo ancora capito, ma di divieto in divieto si uccide un’occasione di crescita e sviluppo di un paese”, altri sostengono che qualche normativa di riferimento ci voglia sebbene, fa notare ALCEI (vedi pagina seguente), le regole già ci siano .
Lo segnalano anche alcuni blogger, con riferimento esplicito alla Direttiva europea già recepita dall’Italia (nel 2003) che prevede l’ irresponsabilità del provider di servizi dinanzi alla circolazione di materiali illegali sulle proprie reti.
Qui di seguito il dossier con i commenti di ALCEI, Adiconsum, Tommaso Tessarolo, Valentina Frediani e Andrea Lisi.
Alcuni minorenni si sono ripresi mentre vessavano un “disabile” e poi hanno pubblicato un filmato della vicenda su Youtube (il servizio, appena acquistato da Google, che consente agli utenti di pubblicare in autonomia i propri video). Come è noto, quell’ignobile comportamento non è un “caso isolato”. Ma se il clamore suscitato da un particolare episodio ha portato, da un lato, ad affrontare un grave e diffuso problema di violenza e di malcostume (che non riguarda solo gli adolescenti) accade anche che, in una direzione del tutto diversa, diventi un ennesimo pretesto di censura e repressione.
I commenti su questa sciagurata vicenda sono, in parte, indirizzati a temi seri: la responsabilità delle famiglie e degli educatori, la crisi dei valori, la diseducazione sociale. Ma, al tempo stesso, è stato colto il pretesto (come già in molte altre situazioni nel passato) per invocare e attuare repressione e censura. Del misfatto si “incolpa” l’internet – mentre è chiaro che la disgustosa idea di mettere online un filmato ha portato all’identificazione dei fatti e dei colpevoli (che altrimenti potrebbero essere rimasti, come in troppi casi, ignoti e impuniti).
La vicenda ha fatto riemergere con prepotenza le richieste di stabilire la responsabilità oggettiva dell’internet provider (renderlo, cioè, automaticamente responsabile delle azioni di chi utilizza i suoi servizi).
Esponenti politici hanno annunciato l’ennesimo disegno di legge (sembra, diretto a ottenere dal minore il “consenso scritto” dei genitori per l’uso della rete) con l’aggravante che, stavolta, è stato addirittura aperto un procedimento penale nei confronti dei rappresentanti italiani di Google Inc.
Sarebbe palesemente assurdo se (come interpretato in alcuni dibattiti, articoli di giornale e programmi televisivi) si considerasse “responsabile dei contenuti” un motore di ricerca. Ma, anche se il procedimento contro Google si basasse su fatto che ora è proprietaria di Youtube, si tratterebbe di una grave distorsione delle responsabilità e di un ennesimo tentativo di repressione che, da un episodio particolare, potrebbe facilmente estendersi a forme estese di censura.
Siamo di fronte alla solita inaccettabile ipocrisia di chi invoca (o annuncia di approvare) leggi repressive a “senso unico”, dimenticando che l’Unione Europea e l’Italia hanno già affrontato e risolto il problema della responsabilità del fornitore di servizi internet. La direttiva 31/00 recepita in Italia dal decreto legislativo 70/2003 dice chiaramente che non esiste un obbligo generale di sorveglianza preventivo a carico del fornitore di servizi internet. Solo a fronte di un provvedimento esecutivo della pubblica autorità è possibile rimuovere o rendere indisponibili contenuti o servizi.
In questo caso, lo staff di Google è stato addirittura “più realista del re”, avendo rimosso il video in questione non appena si è reso conto della sua presenza e senza aspettare l’intervento delle autorità. È dunque incomprensibile (se la notizia sarà confermata) a che titolo la Procura di Milano abbia aperto un provvedimento penale nei confronti dei rappresentanti di Google Italia.
Viceversa, politici e mezzi di informazione fanno finta di non sapere che esistono già precisi obblighi normativi che impongono ai genitori il controllo sull’operato dei minori e stabiliscono la loro responsabilità giuridica sul comportamento dei figli. Ma, con tutta evidenza, si preferisce sfruttare l’occasione per invocare provvedimenti dettati dall’emozione e sbagliati nella sostanza, piuttosto che affrontare con serietà le vere radici del problema.
Fin dal 1996 ALCEI ha denunciato, anche in sede comunitaria, la volgare strumentalizzazione di un tema grave e delicato come quello della protezione dei minori, per fini di mera propaganda politica e interessi di bottega. Strumentalizzazione che si è tradotta in leggi che non garantiscono alcuna tutela reale alla persona abusata, ma che, al contrario, consentono abusi di potere e disinformazione. E, quel che è peggio, rinforzano pregiudizi culturali e oscurantisti non solo nei confronti delle tecnologie dell’informazione, ma anche, e sopratutto, dello Stato di diritto.
ALCEI è a disposizione di chi volesse approfondire il tema.
ALCEI L’impresa sui “bulli” che hanno aggredito un loro compagno e messo il filmato in Rete, al di la del fatto, naturalmente da condannare, ha sollevato il problema di come gestire la pubblicazione spontanea dei contenuti in Rete. A fianco della preoccupazione collettiva che l’episodio ha generato, cui Adiconsum si unisce, molte voci si sono levate, più o meno direttamente, contro Google, il cui servizio “video” ha consentito agli autori del gesto la messa in rete del filmato, oltretutto nella sezione “divertenti”.
L’accusa che viene rivolta al servizio, è quella di consentire la pubblicazione indiscriminata di filmati che vanno oltre la soglia della correttezza deontologica, che normalmente gli editori utilizzano nella pubblicazione di loro contenuti, e che il sistema sia tale da garantire l’impunità a chi questo genere di filmati pubblica.
Si è arrivati al punto di sostenere la necessità di verifiche preventive dei contenuti da pubblicare, da parte di organismi non meglio specificati. Oggi, leggiamo del ministro Fioroni che arriva ad auspicare “sanzioni” per il web, oltre che per altri media.
Adiconsum ritiene che tutto questo sia l’ennesima dimostrazione di come larga parte degli interlocutori, anche istituzionali, abbiano una conoscenza scarsa, se non nulla, dei meccanismi che governano la Rete. La Rete non è un progetto editoriale ma una infrastruttura tecnologica su cui vengono veicolati servizi, tra cui quelli informativi. I motori di ricerca non sono editori, ma “content carrier”, veicolatori di contenuti appartenenti a terzi. Voler attribuire ai motori di ricerca una veste editoriale è quindi semplicemente un errore. Chiedere di sanzionare la Rete, irrealistico.
Questo episodio ha peraltro dimostrato che società deontologicamente corrette, collaborando con la polizia postale nella rimozione nel video e nella successiva individuazione dei responsabili, aumentino la possibilità degli inquirenti nel perseguire il reato. Senza Google probabilmente questo gesto sarebbe rimasto impunito.
Adiconsum:
– ritiene che il tentare di porre limitazioni indiscriminate sulla gestione dei contenuti in Rete, sia un’operazione assolutamente inefficace, in quanto la Rete è entità sopranazionale;
– chiede a chi consente l’immissione di informazioni da parte del singolo cittadino, siano esse testo, audio o video, di informare preventivamente quali siano le regole e le leggi da rispettare e le relative sanzioni;
– chiede il potenziamento delle strutture investigative, in mezzi e uomini, in particolar modo della polizia postale, per garantire una sempre più efficace azione di controllo e di intervento sulla Rete;
– il consumatore-utente deve sempre essere tutelato nella sua libertà di azione, sino a prova contraria;
– in una società in cui il contenuto digitale assume sempre più un ruolo fondamentale, soprattutto quello prodotto dal singolo cittadino, i motori di ricerca sono “indispensabili” al corretto e democratico utilizzo della Rete;
Adiconsum come sempre, vigilerà attentamente affinché i diritti dei consumatori, anche in rete, siano sempre garantiti.
Adiconsum
Avrete sicuramente letto la notizia del video del bambino down picchiato da un gruppo di coetanei. Forse avrete visto anche il video. E della reazione della giustizia italiana che ha indagato Google Italia , minacciando il blocco dei server. Sapete che Google Video, come anche YouTube e tanti altri, è un servizio web dove chiunque può inviare i propri video. Basta avere un PC e una connessione Internet per diffondere in tutto il mondo ciò che si è “girato”. Oggi d’altra parte tutti i telefonini moderni hanno una video camera, con cui è veramente facile riprendere in qualsiasi momento quello che ci sta accadendo. E poi un PC, Internet e, boom!, siamo in “onda” in tutto il mondo. E Google Video che fa? Accetta praticamente tutto.
Filtra fuori solo i contenuti osceni, dai nudi alla pedofilia. Per il resto: tutto è dentro, perché non si possono guardare tutti i video inviati. Sono troppi. C’è troppa gente che gira video con i telefonini e li pubblica. E poi come si fa a decidere cosa pubblicare e cosa no. Google non è un giornale o un telegiornale. Google Video è un servizio libero, aperto, gratuito. Non ha un editore, un controllore, un censore.
E allora è giusto: chiudiamo Google Video! Impediamo che certe scene circolino libere per la rete, preda di chiunque voglia vederle. Però a ben pensarci chiudere solo Google Video non basta. Ci sono tanti servizi simili. E poi comunque la rete è troppo grande ed è troppo facile condividere informazioni (pensate ai blog!!). Allora facciamo così: chiudiamo anche la Rete! Non pensiamoci più e risolviamo finalmente questo gravoso problema.
Certo è che però rimarrebbero sempre questi maledetti cellulari. Messaggi segreti via SMS, canzoni e foto scambiate direttamente da un telefono all’altro. E poi sempre quelle maledette video camere incorporate. Sì, dovremmo andare fino in fondo: chiudiamo i Cellulari ! Indaghiamo NOKIA, MOTOROLA, SONY,… blocchiamo le loro produzioni. Non possiamo tollerare più tutto questo. Attenzione però: non dimentichiamoci che “i giovani” possono sempre infilarsi nel tunnel dei video giochi violenti. Orrore e raccapriccio. Anzi, visto che ci siamo, grazie a PANORAMA per aver dedicato una intera storia di copertina due settimane fa al gioco “dove si deve seppellire una bambina viva”. E già, dobbiamo andare fino in fondo: chiudiamo i Videogiochi ! Sequestriamo le consolle, bruciamo i game boy.
E se qualcuno si azzardasse a guardare la TV che facciamo? Vogliamo rischiare che “i giovani” vedano MTV o qualche altro canale alternativo? Direi di no: chiudiamo la TV! Sequestriamo i broadcaster. Mi direte: qualcuno, molto pochi, potrebbe ancora voler leggere un libro. Quei contenitori trasportabili di storie perverse ed oscene, che mettono in testa strane idee: chiudiamo i Libri!
Ah già! i film! C’eravamo dimenticati dei film: pornografia autorizzata, istigazione a delinquere, violenza e sesso. Non c’è dubbio: chiudiamo i Film! Radiamo al suolo Hollywood e “Cinecittà”. E per finire in bellezza: chiudiamo le Radio! Non le vogliamo più sentire tutte quelle canzonette oscene, tutti qui commenti di comici ed opinionisti. Basta!
Ma sì basta! chiudiamo veramente tutto!
Spegniamo il mondo, con le sue sovrastrutture ed i suoi eccessi e lasciamo finalmente i genitori davanti ai loro figli. Facciamoli guardare gli uni negli occhi degli altri, creiamogli il silenzio ed aspettiamo. Osserviamo i genitori cosa faranno quando soli, senza più scuse e finti perbenismi, dovranno spiegare il senso di tutto questo. Quando dovranno riempire le giornate dei loro figli senza più rincoglionirli davanti alla playstation o ipnotizzarli davanti alla TV.
Chiudiamo tutto e aspettiamo, in silenzio .
Tommaso Tessarolo
Indagata anche Google Italia per la diffusione del video sul disabile torinese maltrattato dai propri compagni di scuola. I Pm milanesi titolari dell’inchiesta hanno infatti iscritto nel Registro degli Indagati anche due manager della filiale italiana di Google. Capo di imputazione contestato è il concorso in diffamazione.
La notizia ha lasciato molto perplesso il mondo di internet, anche in considerazione dell’iter di diffusione dei video previsti da Google. Difatti, la società non opera alcun tipo di vaglio né controllo preventivo sui video, limitandosi da una parte a consentirne la pubblicazione mediante un iter piuttosto semplice di immissione in rete, dall’altra pubblicando nella sezione “Termini e Condizioni di Caricamento” le clausole di responsabilità; Google Italia prevede espressamente una responsabilità autonoma del soggetto che pubblica i video, riservandosi il diritto alla cancellazione nel caso di segnalazione o anomalie che possano essergli comunicate.
Una forma di controllo piuttosto “scarsa” visto le notizie delle ultime ore, che vedono la Guardia di Finanza impegnata nella ricerca di documentazione che verifichi i ruoli all’interno dell’organigramma aziendale di Google. Sembra ricorrere anche in questo caso, come ormai spesso accade, una forma di qualificazione della responsabilità di chi rende disponibili spazi per le pubblicazioni, parificabile a quanto previsto per la stampa: nel caso di diffamazione infatti, non è responsabile solo chi scrive un pezzo, ma anche il direttore, l’editore e persino lo stampatore!
Eppure rapportare ad internet un simile ragionamento appare un po’ lontano dalla realtà. E questa carenza legislativa sembra ora venire fortemente a galla, tanto che il Ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, ha dichiarato che entro poche settimane saranno presentati provvedimenti del Governo che diano un giro di vite forte ad internet ed ai nuovi media. Una presa di posizione che se da una parte può rendersi necessaria visto l’uso talvolta deviato della rete dai minorenni, dall’altra spaventa già gli internauti: giro di vite può voler dire più censura?
È da augurarsi che coloro che daranno alla luce i provvedimenti su internet sappiano compiutamente di cosa stiamo trattando, e magari disciplinino con più chiarezza le responsabilità ed indichino iter adeguati per le pubblicazioni senza andare ad intaccare il principio che sta alla base della rete: la libertà di navigazione, che include quella di espressione, pubblicazione e scambio di informazioni, senza rischiare – emettendo provvedimenti solo restrittivi e non costruiti sulla realtà della rete – di penalizzare con la scusa dell’emergenza, chi della rete ne fa un uso legittimo.
Avv. Valentina Frediani
www.consulentelegaleinformatico.it
www.consulentelegaleprivacy.it
I fatti e gli stessi presupposti dell’inchiesta vanno approfonditi e rimane opportuno, quindi, aspettare di conoscere i dettagli prima di entrare nel merito della questione… insomma non possiamo certamente rincorrere il sensazionalismo tipico di alcune informazioni che entrano nelle prime pagine dei giornali (e a maggior ragione quelle che riguardano il WWW), ma una cosa è certa: si respira in questo periodo, anche in Italia, un fastidioso vento in poppa che tende a criminalizzare l’Internet e soprattutto i suoi protagonisti, gli Internet Service Provider.
Negli ultimi anni abbiamo vissuto un innegabile sviluppo del diritto dell’ICT, con nuove questioni sempre più delicate da affrontare e nuovi progetti che si vanno avviando. Eppure, se da una parte certa normativa e giurisprudenza hanno fatto ben sperare, dall’altra parte ancora una volta emergono alla nostra attenzione i maldestri tentativi di chi intende sottoporre l’Internet ad un impossibile controllo da parte degli ISP.
In proposito, è opportuno ricordare come nell’ultimo periodo il World Wide Web si sia caratterizzato sempre di più per la facilità con cui ci si possa improvvisare come “fornitori di servizi on line”: realizzare un web blog o un mini-site è diventato un divertente gioco che può sviluppare chiunque possieda veramente minime conoscenze informatiche. Inoltre, esistono numerosi siti realizzati con architetture friendly e gestibili in remoto da un qualsiasi content provider che non abbia alcuna conoscenza dei linguaggi.html!
Insomma essere titolari di un sito (o quanto meno di un “diario on line”) non è più un’eccezione, ma costituisce ormai una regola per chi naviga nel web e ne conosce i suoi “meccanismi”.
Eppure il legislatore non sembra accorgersene. E così anche certa recente giurisprudenza.
Si avverte ancora nell’aria una voglia insopprimibile di “controllare la Rete” attraverso coloro che ne “comprendono i suoi contenuti”, che “la gestiscono”. Sembravano ormai persi per sempre gli echi di certa legislazione e giurisprudenza che, non conoscendo bene il mezzo telematico e spinti inconsapevolmente dalle paure che esso generava, cercavano di responsabilizzare in maniera oggettiva e a dir poco paradossale gli ISP e i webmaster dei siti web. Quegli echi, che accostavano gli ISP ai direttori di testate giornalistiche e le riviste on line in maniera quasi automatica alle leggi pensate per l’editoria, erano stati travolti dalla legislazione europea (direttiva 2000/31/CE) e dai decreti di recepimento (D. Lgs. 70/2003), nei quali si sottolineava il principio generale della mancanza del dovere di sorveglianza in capo al prestatore di servizi della Società dell’Informazione
In questi ultimi mesi, invece, c’è stata una inquietante inversione di rotta, probabilmente facilitata, da una parte, dalla solita fobia del controllo dei contenuti telematici generata dalla lotta al terrorismo e, dall’altra, da una ancora scarsa conoscenza tecnica del “fenomeno internet” da parte di chi ci governa.
Si ricorda, in proposito, il recente c.d. “Decreto Pisanu” del 27 Luglio 2005 n. 144 in materia di misure urgenti contro il terrorismo internazionale che ha introdotto l’obbligo per i provider di conservare i dati relativi al traffico telefonico e telematico sino al dicembre 2007, sospendendo fino a quella data ogni altra disposizione sulla conservazione e cancellazione delle informazioni che consentono la tracciabilità degli accessi e dei servizi. O ancora si fa riferimento al decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) – recante “Rimozione dei casi di offerta in assenza di autorizzazione, attraverso rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse i concorsi pronostici con vincite in denaro”, pubblicato in G.U. n. 36 del 13/02/2006 – il quale, in attuazione delle disposizioni contenute nella Legge Finanziaria per l’anno 2006, ha sottolineato che – nonostante la legge italiana operi una chiara distinzione tra i giochi consentiti da quelli non consentiti – quelli consentiti possono essere offerti solo da operatori in possesso dell’apposita concessione, autorizzazione, licenza od altro titolo autorizzatorio o abilitativo per poter operare in Italia. E a tutela di tale disposizione è stato posto un obbligo di attivarsi a carico dei fornitori di connettività alla rete internet o dei gestori delle altre reti.
E come non ricordare le tante polemiche sorte con il famoso “Patto di Sanremo” e, quindi, generate dal solito, reiterato tentativo di attribuire agli ISP una serie di poteri-doveri da sceriffo del Web ? E le polemiche continuano ancora in questi giorni.
Sembra essere in atto, quindi, una nuova pericolosa tendenza volta a favorire lo sviluppo di un “misterioso” dovere di controllo del sito web, sempre più particolareggiato, a carico di soggetti che tecnicamente non hanno la possibilità e la competenza per effettuare realmente tale controllo: da oggi in poi, coloro che creano o sviluppano siti web, o che sono titolari di web blog, dovrebbero – secondo una certa “aria soffocante” che si respira in questo periodo – iniziare a gestire i loro spazi virtuali con sempre maggiore attenzione e illuminata conoscenza delle varie norme vigenti in Italia che regolamentano il settore.
Ma soprattutto tutti oggi possiamo ancora essere considerati direttori di una rivista telematica se ne abbiamo sotto controllo i suoi contenuti. Si fa riferimento, infatti, alla prima condanna a mezzo blog statuita in nome del popolo italiano dal Tribunale di Aosta, in data 25 maggio 2006 (depositata in Cancelleria in data 01/06/2006). Come si fa a non ricordarla in questi giorni? In quel provvedimento, con disarmante leggerezza il Giudice affermava che “va subito detto che, essendosi provato ut supra che il M. era il soggetto che aveva la disponibilità della gestione del blog (noto con il nick di Generale Zhukov, ndr.), egli risponde ex art. 596 bis c.p., essendo la sua posizione identica ad un direttore responsabile “! E ancora il Giudice sosteneva che “se il titolare del blog, al pari di un direttore della stampa, ha il potere di controllo, allora a quest’ultimo è equiparato a tutti gli effetti, compresi quelli penali”.
Che fine ha fatto il divieto di analogia in malam partem nel diritto penale e che fine hanno fatto gli artt. 14, 15, 16 e 17 del D. Lgs. 70/2003?
Andrea Lisi
direttore di SCiNTLEX