Chi si trovava in aula al momento della lettura del verdetto emesso dalla giuria dice che Jammie Thomas-Rasset non riusciva a respirare quando ha saputo di essere stata condannata per la seconda volta per infrazione del diritto d’autore e condivisione non autorizzata di 24 brani sul network di file sharing KaZaa. La signora Thomas, madre single di due bambini di origini nativo-americane che va avanti grazie a un sussidio dello stato, deve secondo la sentenza risarcire le major discografiche di 1,92 milioni di dollari per i 24 brani di cui sopra, vale a dire 80mila dollari a brano e un aumento di quasi 10 volte la multa stabilita alla fine del primo processo .
In un procedimento lampo durato pochi giorni , a tratti teso ma senza nessuna arringa “clamorosa” che pure da parte della difesa era stata in qualche modo paventata, i giurati scelti tra i più ligi del Minnesota (rispettosi della legge e senza “preconcetti” a favore o contro il file sharing sul banco degli imputati) hanno riaffermato la convinzione della giuria precedente sulla colpevolezza di Mrs.Thomas, hanno rigettato la sua nuova ricostruzione degli eventi sull’utilizzo del computer incriminato – usato per scaricare quei brani su KaZaa – da parte dei figli (la volta scorsa si era parlato di un cracker della connessione WiFi) e hanno letteralmente mandato alle ortiche le raccomandazioni del giudice distrettuale Michael Davis , che concedendo il nuovo processo aveva definito la sanzione da 220mila dollari “senza precedenti e oppressiva”.
Il “remake” dell’unico processo al file sharing che sia mai stato celebrato nelle aule giudiziarie statunitensi si è concluso con la stessa sentenza di colpevolezza e sanzioni pecuniarie ancora più “oppressive e senza precedenti”, per parafrasare le parole del giudice Davis, ma sentenza a parte tutto lascia presupporre che questo sia solo il secondo round di un scontro destinato a durare ancora a lungo sino a consumare tutti i gradi di processo stabiliti dal sistema legale USA.
La signora Thomas, tanto per cominciare, ha ribadito che lei i quasi 2 milioni che RIAA e le major vorrebbero come “risarcimento” per il danno subito dal download di quella sporca doppia dozzina di MP3 non li potrebbe mai pagare nemmeno se volesse . Nelle dichiarazioni seguite al processo l’accusa si è detta soddisfatta della sentenza , ma a quanto pare è consapevole del fatto che non incasserà mai la super-multa comminata a Thomas e continua a professarsi disposta a un accordo extra-giudiziario per risolvere la faccenda una volta per tutte.
Secondo la testimonianza di Ben Sheffner, ex-avvocato di 20th Century Fox ed esperto di cause di copyright che ha seguito in prima persona il processo, uno dei due legali della difesa ha già dimostrato la volontà di discutere di un eventuale accordo, mentre Kiwi Camara (l’altro avvocato della signora Thomas) ha espresso la volontà di continuare a presentare nuove mozioni alla corte nel caso in cui la sua cliente volesse continuare a lottare . E nonostante la batosta presa pare che sia proprio questo il caso, perché a fine processo Thomas avrebbe detto che la pesantissima condanna non è che “un punto per RIAA, non la fine della guerra”.
Una possibilità certamente realistica è che Camara decida di portare il caso davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti , impugnando la sentenza come incostituzionale perché la multa comminata in questo caso sarebbe sproporzionata ai danni subiti dall’industria discografica. Secondo l’opinione del legale di EFF Fred von Lohmann, una sanzione di quasi 2 milioni di dollari per due dozzine di download suggerisce almeno due potenziali problemi di incostituzionalità : in prima istanza una punizione così “grossolanamente eccessiva” come quella in cui è incappata Mrs.Thomas violerebbe i principi del giusto processo così come stabiliti dalla Costituzione, e ultimo ma non ultimo la Corte Suprema ha già stabilito, in sentenze precedenti, che a una giuria non è concesso stabilire punizioni “esemplari” come monito a soggetti diversi da quelli accusati nel processo in corso.
Lohmann si riferisce ovviamente alla testimonianza dell’avvocato di Sony Gary Leak durante il primo giorno del dibattimento, e al fatto che il legale si fosse lasciato scappare (incalzato dalle domande di Camara) le affermazioni secondo cui 220 dollari non erano abbastanza e bisognava “mandare un messaggio” alle famiglie americane sulle gravi conseguenze delle attività di sharing in Rete. Unendo questo alle opinioni del giudice Davis e al fatto che la Corte Suprema non sentenzia per mezzo di giurie popolari, appare quantomeno probabile che nemmeno la (seconda) condanna della signora Thomas metta la parola fine al più importante caso legale contro il P2P che gli USA abbiano mai visto .
Alfonso Maruccia