Jammie Thomas-Rasset, la donna che ha avuto il coraggio di affrontare le major a volto scoperto in un tribunale statunitense, non vuole arrendersi ai pronunciamenti di una giuria che si è dimostrata tutto fuorché morbida. Dopo aver subito una batosta da 1,92 milioni di dollari in occasione del secondo processo con cui ci si è confrontati con l’infrazione del copyright musicale a mezzo P2P, la signora Thomas non si è persa d’animo e ha rilanciato sostenendo l’incostituzionalità di una simile cifra , per di più se concessa al di fuori di qualsiasi relazione diretta con i danni concreti (e tutt’ora ignoti) causati agli assistiti dell’accusa.
Per perorare il nuovo tentativo di rivalsa (o quantomeno di mitigazione dei danni) della madre del Minnesota, i suoi legali si sono ancora rivolti al giudice Michael Davis sostenendo la flagrante presenza, nel caso in oggetto, di “dubbi che portano a un’indagine sull’equità del processo”. Chiedono cioè al giudice di prendere in considerazione l’arbitrarietà, la variabilità e la non prevedibilità della pena pecuniaria comminata alla signora Thomas.
“La differenza di qualche ordine di grandezza tra i verdetti del primo e del secondo processo di Mrs. Thomas – continuano i legali – è una prova indiscutibile” dell’arbitrarietà della pena, passata da 10mila dollari a brano a 80mila dollari a brano nel giro di pochi mesi per lo stesso, identico illecito di download non autorizzato sul network di KaZaA.
Secondo quanto prevede il Copyright Act , il danno stabilito per legge per ogni singola infrazione può oscillare tra i 750 e i 150mila dollari, intervallo in cui rientrano di diritto i due verdetti di cui sopra. Quell’intervallo è eccessivo e incostituzionale, ribattono i legali della signora Thomas, soprattutto in virtù del fatto che si tratta di danni nominali estrapolati da un articolo di legge piuttosto che pene commisurate al presunto danno provocato alle major del disco dai 30 download.
Durante il dibattimento in tribunale, i legali delle Big Four si sono rifiutati di discutere del danno oggettivo ricevuto a causa dei brani non autorizzati , spostando al contrario il focus della discussione sul più generico danno complessivo causato all’intera industria dalla pratica altrettanto generica di “pirateria” a mezzo file sharing. “Sarebbe incostituzionale punire Mrs. Thomas per la condotta diffusa e generalizzata di altri – dicono i legali – qualunque sia stato l’effetto di quella condotta sui querelanti”.
Piuttosto che cifre aleatorie non basate su alcuna realtà fattuale, sostiene la difesa, la giuria dovrebbe essere indotta a comminare pene pecuniarie proporzionali al mercato musicale attuale. Altro che milioni di dollari insomma, al massimo le major potrebbero pretendere dalla signora Thomas 1,29 dollari a brano o 15 dollari per album in vendite perse.
Alfonso Maruccia