È di questi giorni la notizia che l’AGCOM ha presentato in Parlamento la sua raccomandazione “La tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica” che il suo presidente Corrado Calabrò definisce “una sintesi efficace tra le contrapposte esigenze di tutelare la libertà della Rete e la titolarità dei contenuti”.
Per questo motivo, visto che l’ottimo Guido Scorza ha già commentato dal punto di vista giuridico questa mostruosità, questa puntata di Cassandra Crossing dedicata all’AGCOM ed alla censura (è la quinta della serie) sarà destinata esclusivamente a valutare quanto la raccomandazione tuteli effettivamente “la libertà della Rete”.
Aldilà dello specifico valore della difesa della cosiddetta “Proprietà Intellettuale”, poco rilevante in questa sede, è centrale notare come questa raccomandazione aggiunga un tassello importante, anzi essenziale, al progredire dalla censura della Rete italiana e contro cittadini italiani.
Il quadro di quello che sarebbe successo, cioè l’istituzione in Italia di una censura della Rete del tutto simile a quella vigente in paesi totalitari come la Cina o l’Iran, era già perfettamente delineato, per coloro che non volevano essere ciechi, nel 2007 con il decreto Gentiloni.
Il decreto istituiva e finanziava, all’interno dell’AGCOM e nell’ambito di iniziative giustificate con la lotta contro la pedopornografia in Rete, un ente dedicato alla censura dei siti visibili dall’Italia (il CNCP) e stabiliva per gli ISP l’obbligo di entrare a far parte dell’infrastruttura tecnica volta a realizzare questa censura prima tramite sovversione dei DNS e successivamente tramite filtraggio degli indirizzi IP. Si trattava in buona sostanza della creazione dell’infrastruttura tecnica ed organizzativa di tipo cinese necessaria per censurare qualsiasi contenuto della Rete raggiungibile dall’Italia, logicamente conseguente ad una serie di leggi approvate nel 1998, nel 2003 e nel 2006 e teoricamente rivolte al contrasto della pedopornografia
Questa infrastruttura, amministrata direttamente da un’ente indipendente (il CNCP) interno alla già indipendente AGCOM, era in effetti pronta ad esercitare la censura della Rete per altri motivi, e questo è anche dimostrato dai successivi disegni di legge (per fortuna mai discussi) a firma degli onorevoli Carlucci e Barbareschi che giustificavano la censura della Rete con la necessità di tutelare la cosiddetta “Proprietà Intellettuale”.
Si trattava di costruire meccanismi in stile HADOPI che permettessero di agire a scopo censorio sull’altra metà del collegamento, quella a valle del sito, per distaccare forzatamente dalla Rete quegli utenti che, facendo uso di sistemi P2P o pubblicando contenuti, violassero la cosiddetta “Proprietà Intellettuale” di terzi. Il problema è che nel meccanismo francese dell’HADOPI l’accertamento non è attuato da chi è deputato a questo tipo di compiti, cioè ad un’autorità giudiziaria, ma ad un ente cosiddetto indipendente, e che trova la sua ragione di essere solo in questo compito specifico, è promosso solo ed esclusivamente dai detentori della cosiddetta “Proprietà Intellettuale”, ed effettua contemporaneamente ed in completa autonomia accertamento e distacco.
Poco dopo la sua creazione l’infrastruttura di censura controllata dal CNCP è stata utilizzata non per il contrasto alla pedopornografia ma per tutelare altri interessi, a cominciare da quelli dell’AAMS, che ha fatto censurare tutti i siti esteri di gioco d’azzardo che non le versavano la dovuta tassa (lo Stato Italiano è e vuole essere biscazziere unico della Rete , “pecunia non olet”), e continuando poi con quelli di chi si sentiva minacciato da “the Pirate Bay”.
Per riassumere questa storia possiamo fare un elenco ordinato dei tasselli presenti e passati che compongono la via che ci conduce verso una Rete “cinese”:
– decreto Gentiloni che istituisce il CNCP ed annessi obblighi tecnici per gli ISP
– uso dell’infrastruttura di censura per tutelare interessi commerciali (AAMS)
– aggiornamento dell’infrastruttura di censura dal metodo DNS al più efficace filtraggio degli indirizzi IP
– uso dell’infrastruttura di censura per oscurare siti in seguito a provvedimento preventivo dell’autorità giudiziaria (The Pirate Bay)
– uso dell’infrastruttura di censura per oscurare qualsiasi contenuto su decisione di un’autorità indipendente (e fortemente lobbizzata), senza l’intervento e la tutela dell’autorità giudiziaria
Viene da chiedersi come qualunque cittadino della Rete possa assistere senza far niente a questa devastazione dei suoi diritti, continuando magari a dedicare il suo tempo ad aggiornare il profilo di Facebook.
Ma si sa, nelle comunità sociali commerciali la censura è praticata correntemente, talvolta in maniera clamorosa, talvolta in maniera sottile e strisciante, e suscita al massimo scandali momentanei e circoscritti.
Forse, dopotutto, la Rete come l’avevano concepita i suoi padri proprio non ce la meritiamo, ed ha ragione V quando dice che “… se cerchiamo un colpevole, dobbiamo solo guardarci allo specchio”.
Marco Calamari
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