UPDATE: Punto Informatico ha pubblicato una precisazione di SIAE il cui testo è disponibile qui .
Roma – Un nuovo obbrobrio giuridico ha rischiato di diventare legge di uno stato in cui da sempre i diritti dell’individuo e la laicità delle istituzioni sono scolpiti profondamente nella vita pubblica. In Francia la “Dottrina Sarkozy” o dei “Tre colpi” è stata respinta per un soffio : una decisione simile dovrà essere presa a breve dal Parlamento Europeo e da diversi stati, inclusa forse l’Italia. Speriamo bene.
Un cittadino francese avrebbe quindi potuto essere privato del diritto alla libertà di espressione in Rete dietro semplice denuncia di parte di un sedicente detentore di diritti d’autore su opere digitali: questo senza nessun contraddittorio giuridico, e senza la possibilità di opporsi al distacco fino a quando questo non fosse stato effettuato.
Tutta la faccenda è una manifestazione di inciviltà e di subordinazione dei diritti civili agli interessi economici. Dobbiamo aver chiaro che il problema non nasce nel parlamento francese, e neppure nelle leggi che mirano a reprimere il P2P per tutelare la cosiddetta proprietà intellettuale in Rete. Il problema è più a monte.
Nessuno che sia in possesso della ragione potrebbe negare il diritto degli autori di opere dell’ingegno a veder ricompensato il proprio lavoro: questo naturale diritto era già riconosciuto secoli fa, quando la carta stampata (allora abbastanza rara) era il solo mezzo di diffusione delle opere. Un diritto esclusivo di sfruttamento limitato a 15 anni dalla data di pubblicazione dell’opera era considerato un equo bilanciamento tra il diritto dell’autore a veder ricompensato il proprio lavoro ed il diritto della società di cui faceva parte a sviluppare la cultura, inglobando l’opera di tutti a vantaggio di tutti.
Se qualcuno fosse turbato dalla riduzione del periodo di sfruttamento del lavoro intellettuale, potrebbe fare il parallelo con il lavoro di meningi di un neurochirurgo o un ingegnere, altrettanto immateriale di quello di musicisti e scrittori, che vengono pagati per il loro lavoro senza nessun diritto successivo. Musicisti e letterati del passato sono vissuti e hanno realizzato capolavori venendo pagati semplicemente alla consegna da chi commissionava l’opera. Perché oggi no?
Comunque una compensazione sulla base di un periodo esclusivo di sfruttamento dell’opera pubblicata mantiene un senso e un’utilità anche ai nostri giorni.
L’uso dei meccanismi del diritto d’autore è stato però completamente snaturato da due fattori, causati da azioni di lobby tanto potenti quanto continue. Da una parte abbiamo l’allungamento, ridicolo se non fosse tragico, del periodo di sfruttamento esclusivo a 75 o 90 anni dalla morte dell’ultimo co-autore: augurando lunga vita a tutti vorrebbe dire in media 120-135 anni dalla data di pubblicazione dell’opera. Dall’altra c’è la totale trasferibilità dei diritti dall’autore a terzi, che ne mantengono integralmente i diritti per lo stesso periodo. Quest’ultimo fattore sembra naturale, ma non lo è se lo si esamina più approfonditamente: perché entità economiche che sfruttano un’opera già appartenuta all’autore devono aver diritto (non ne hanno bisogno) allo stesso tipo di tutela che spetta a chi del lavoro intellettuale deve vivere?
Se queste norme fossero state effettive in passato, la cultura come la conosciamo e ne beneficiamo oggi semplicemente non esisterebbe. La reale dimensione di questa affermazione non è probabilmente percepibile ad una prima lettura. Significa che tutta la struttura culturale, almeno della parte cosiddetta “civilizzata” dei “20 grandi” del mondo, non avrebbe avuto modo di svilupparsi, e così l’attuale mercato delle opere dell’ingegno quali musica, letteratura, teatro e cinema. Il mercato infatti non si sviluppa con le barriere ed i monopoli, quelli hanno l’effetto di mantenere situazioni di concentrazione del profitto, cioè esattamente quello che sta succedendo oggi.
I diritti di proprietà intellettuale infatti appartengono solo in rari casi agli autori originali: la maggior parte di quelli che valgono qualcosa è già stato ceduto ed appartiene ad un ristrettissimo gruppo di multinazionali, ed il resto viene gestito da associazioni nazionali come la SIAE italiana. Quest’ultima non è certo esempio di equità e trasparenza, visto che è commissariata da decenni e non deve rendicontare il proprio operato.
I Diritti Tossici sono proprio questi. Diritti d’autore, naturali e produttivi appartenenti agli autori, alienati tal quali ad entità economiche non creative ma parassitarie, che diventano perciò parte non di un sano ciclo cultuale ed economico, ma di una rendita di posizione di tipo monopolistico.
La normativa dei diritti d’autore dovrebbe evolvere insieme ai nuovi media veicolati dalla rete: invece l’intermediazione dei diritti digitali, proprio come quella dei debiti immobiliari americani, ha prodotto la creazione di “diritti tossici” di proprietà intellettuale, che generano parassitismo economico, intossicano la società dell’informazione ed impoveriscono le persone. Esattamente lo stesso tipo di danno sociale che è stato provocato dai titoli tossici, che molti hanno per loro sfortuna sperimentato in una forma o nell’altra. I Diritti Tossici di proprietà intellettuale sono dannosi per la società nel suo complesso proprio come i titoli tossici sono stati dannosi per l’economia mondiale: hanno arricchito ed arricchiscono speculatori e sfruttatori improduttivi e impoverito il resto della società.
Proprio come i titoli tossici, i diritti d’autore tossici necessitano di una reazione altrettanto importante e radicale. Anche se i diritti di proprietà intellettuale già acquistati in uno stato di diritto non possono essere semplicemente “aboliti”, essi potrebbero essere resi innocui a medio termine semplicemente con una riforma della loro durata.
Conservando una durata ragionevole per gli autori originali (i quindici anni di due secoli or sono potrebbero essere un ordine di grandezza ragionevole), questa dovrebbe essere drasticamente ridotta in caso di cessione a terzi, ad esempio alla metà di quella spettante all’autore. Inoltre si dovrebbe obbligare chi ha acquistato un diritto di sfruttamento ad un rinnovo periodico dello stesso, pena la sua decadenza, mantenendo queste registrazioni in un archivio pubblico che dovrebbe essere gestito da un ente super partes, magari della pubblica amministrazione.
Altrimenti i Diritti Tossici continueranno ad avvelenare la società dell’informazione e a impoverire tutti eccetto pochi sfruttatori.
La maggior parte dei danneggiati non lo sa, non se ne cura o addirittura è irretita dalla pubblicità continuamente propinata a colpi di spot in prima serata, al cinema e nei salotti televisivi. È la storiella dei poveri scrittori e musicisti, ridotti in miseria da stuoli di pirati informatici sogghignanti, chiaramente apparentati e complici dei pedoterrosatanisti .
Tutti i giorni chi acquista DVD, biglietti del cinema o PayTV compra Diritti Tossici che avveleneranno lui, la società di cui fa parte oggi ed il futuro della cultura.
Leggevo proprio in questi giorni in cronaca che i manager delle banche, bancarottieri e creatori di veleni economici cominciano a diventare “impopolari” invece che modelli di furbetti da imitare. A quando lo stesso trattamento per chi avvelena informazione e cultura?
Marco Calamari
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