“Vedi la foresta?”. No, non ci riesco, ci sono tutti quegli alberi in mezzo”.
Questa è la situazione in cui si sono probabilmente trovati molti dei miei 17 lettori che hanno letto la petizione realizzata da Leonardo Chiariglione al ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli. La petizione, sottoscritta da un numero sorprendente di firmatari, tra cui anche persone la cui presenza mi ha stupito, è stata commentata in maniera più o meno critica sia da Paolo Nuti che da Enzo Mazza .
Ma quello che mi ha convinto della necessità di questo breve commento, la cartina di tornasole, è stata la reazione, anzi la mancata “reazione” (per quello che puo’ valere) dei lettori di Punto Informatico nel forum dell’articolo, unita alla (spero momentanea) latitanza di entità come no1984.org .
Nessuno ha messo in evidenza il punto centrale della petizione, la cosa che non veniva mai detta nel documento che su questo punto riesce creare uno scotoma , una zona morta che nasconde la magagna, a parere di chi scrive decisamente volontaria.
La petizione propone una situazione ed un assetto del mercato dell’informazione che richiedono l’uso massiccio, pervasivo ed obbligatorio di sistemi DRM e del Trusted Computing, la creazione di un mondo telematico da Grande Fratello in cui non c’è bisogno di delatori perché tanto ci pensa il tuo pc a spiarti e denunciarti, in cui non devi preoccuparti se la tua privacy viene violata perché esisterà una pericolosa infrastruttura facilmente abusabile che lo renderà inevitabile.
Prevede come necessario una meccanismo pagato dagli utenti che, con la scusa di retribuire gli autori, mercifica in maniera obbligatoria lo scambio di informazioni, mette in difficoltà istituzioni fondamentali della cultura come le biblioteche, e relega in un ghetto molto scomodo chi, come il sottoscritto, crede ancora fermamente nel vecchio, massimalista slogan che “L’informazione vuole essere libera”, slogan che se guardato da vicino, con occhi imparziali ed attenzione, perde la sua aria massimalista e sorprende per la sua verità e complessità.
Chi auspica un’infrastruttura obbligatoria di gestione dei diritti digitali oggi siede sulla sponda del Grande Fratello, anche se ne prende le distanze dicendo che è un po’ troppo cattivello.
Siede sulla stessa sponda di chi pensa di risolvere problemi di economia globale con dogane, balzelli e guerre.
Siede sulla sponda opposta di chi difende la creatività, il libero mercato, le libertà digitali e la privacy.
Siede sulla sponda opposta dei visionari che hanno preso l’embrione di Internet dalla mani dei militari e lo hanno fatto diventare una realtà globale, che potenzia le capacità di tutti e come tale promuove libertà e sviluppo.
Gli autori, di ieri come di oggi, non hanno bisogno del Grande Fratello per essere retribuiti. Non ne ha avuto bisogno Beethoven, non ne ho bisogno io, non ne hanno avuto bisogno i Radiohead . Gli unici che ne hanno bisogno, un bisogno disperato perché è in ballo la loro esistenza, sono le aziende che mediano ed incettano i proventi del diritto d’autore, a costo di piantare rootkit nei nostri PC. È di loro, veramente, che si sente molto poco il bisogno.
Mai come in questa puntata ho fatto il mio lavoro di Cassandra; li sentite i mormorii minacciosi che vengono da dentro quel cavallo di legno fattosi petizione?
Provate ad ascoltarli, provate a trovarli anche dentro il testo della petizione. Ed in un’epoca di sfumature in cui gli schieramenti sono ormai fuori moda, dopo aver letto anche tra le righe le intenzioni di persone ed enti, sistemateli sulla giusta sponda della vostra personale visione del mondo.
Queste persone, questi enti sono dalla parte della scarsità e della carestia, non da quella dell’abbondanza
Marco Calamari
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