Alzandomi piuttosto presto la mattina ho l’abitudine di sintonizzare la radio o la TV su una rassegna stampa; impedisce di riaddormentarsi e talvolta si ascolta una notizia interessante. Lunedì il palinsesto di RaiTre ha incluso uno spazio dedicato ai pericoli di Facebook; la giornalista ha posto la domanda se Facebook fosse davvero pericoloso al colonnello Umberto Rapetto della G.d.F., esperto di Internet e comandante del Nucleo Speciale Frodi Telematiche.
Ho avuto spesso occasione di constatare come le nostre rispettive posizioni su questioni di base legate alla Rete, alle sue caratteristiche ed ai suoi fenomeni ci vedessero, evento facilmente prevedibile, su posizioni antitetiche. La risposta ed il relativo piccolo approfondimento che ha dato alla giornalista hanno risuonato nella mia testa; con una certa sorpresa ho constatato che avrei potuto sottoscrivere l’intera risposta, parola per parola, concetto per concetto.
Riassunto: Facebook si appropria completamente dei dati personali di chi si iscrive, anche da un punto di vista commerciale, e chi rinuncia ad essi ed alla propria riservatezza senza curarsene agisce certamente a proprio danno.
Mi è venuto da pensare perché era accaduta questa totale sintonia. Sono naturalmente refrattario a ragionare per schieramenti, essendo un individualista arrabbiato, ed ho elaborato diverse ipotesi.
Che la veloce evoluzione dei fenomeni della Rete possa aver riavvicinato posizioni tra loro molto lontane? Quelle di chi vede la Rete come strumento di libertà e di espressione di diritti civili e quelle di chi la vede come teatro di imprese criminali e strumento di indagine. Difficile, visto che le differenze di fondo permangono.
Che un nuovo pericolo all’orizzonte come Facebook causi una risposta omogenea anche da chi vive ed opera in contesti totalmente diversi della società civile? Probabilmente no, lo sfaccettato fenomeno delle reti sociali si presta esattamente alle stesse valutazioni contrapposte che dalle due parti sono spesso fatte su altri fenomeni della Rete.
Che la dimensione dei possibili danni per un settore crescente della società che vive la rete con ingiustificata, anzi pericolosa, anzi autolesionista spensieratezza preoccupi chi della società in Rete si occupa, pur da punti di vista così diversi? Ecco, forse questa ipotesi è più realistica, ed in grado di giustificare l’identità di parole e di espressioni che mi ha colpito.
Certamente potrebbe essere errata; alla fin fine solo un confronto dialettico tra le parti potrebbe dirimere la questione.
Ma il pericolo crescente delle comunità sociali strumentalmente create ed incoscientemente vissute esiste ed è tremendamente reale.
Non dovrebbe esserci bisogno di ammonimenti provenienti dall’una o dall’altra parte; la maggior parte dei partecipanti alle reti sociali, per come si comporta, dovrebbe semplicemente scapparne a gambe levate, o almeno rivedere radicalmente le proprie abitudini e i propri comportamenti.
Marco Calamari
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