È di questi giorni la notizia che il professor Eben Moglen , notissimo paladino del Software Libero ha annunciato la costituzione di una fondazione, FreedomBox Foundation ed il lancio di una campagna di finanziamenti ad essa dedicata. Contemporaneamente, sul Wiki di Debian, è stato annunciato un nuovo progetto Debian per la realizzazione di un ambiente operativo Debian-based per l’hardware delle FreedomBox.
Ma in cosa consiste il progetto FreedomBox e a quali necessità risponde?
Per capire meglio bisogna fare diversi passi indietro, fino al lontano 2005 quando il Progetto Winston Smith , al grido di “Vogliamo scatole, non programmi”, lanciò il progetto PrivacyBox ( Pbox ) e la maillist dedicata .
Il concetto, figlio di quei tempi, era che se da una parte le applicazioni per la difesa della privacy esistevano, dall’altra erano di configurazione non banale, e richiedevano, per essere efficaci ed utili sia al possessore che alla comunità, che la macchina su cui giravano stesse accesa giorno e notte. Un PC acceso a quei tempi costava dai 100 ai 200 euro all’anno, per tacer dei rumori notturni che ne rendevano da soli spesso improponibile il lasciarlo sempre acceso nella maggior parte delle abitazioni.
Esistevano già allora motherboard a bassissimo consumo senza ventola, audio e video, che consumavano dai 5 ai 9 watt, cioè meno di un decimo di un PC, e che potevano far girare tranquillamente Linux.
Il difetto era che costavano circa 300 euro e non erano quindi alla portata del pubblico in generale. Erano però ancora disponibili gli ultimi esemplari di Microsoft Xbox, anche loro PC Intel che potevano far girare varianti della distribuzione Linux Debian, e che potevano trovarsi anche al prezzo di 80 euro.
Detto fatto, il primo modello di PrivacyBox fu realizzato moddando una Xbox, caricandoci Xebian , ed installandovi le varie Privacy Enhancing Technologies ( Mixmaster , Mixminion , Freenet , Tor ) in versione sia server che client, e configurando il sistema per funzionare come server web, server di posta, firewall e router per modem ADSL ethernet.
Risultato: una Pbox Level I bella, anzi coreografica, economica, perfettamente funzionale ma… la Xbox era un PC, consumava quanto un PC e faceva rumore quanto e più di un PC con la ventola scassata.
Si passò quindi alla realizzazione della Pbox Level II, stessa configurazione software ma hardware professional-grade (e professional-priced) Soekris 4501 . Una scatoletta grande quanto un libro in edizione economica, totalmente silenziosa (la tenevo sul comodino di camera) su cui girava una Debian 386 da memoria flash. Era così robusta che poteva esser lasciata cadere per terra mentre era in funzione senza nessun problema.
Da lì una successione di modelli sempre più potenti ma sempre costosi, fino ad arrivare alla Pbox level V. Che doveva essere alimentabile a batteria, funzionare da access point ed implementare anche le allora nascenti reti mesh, cioè reti P2P formate da molte Pbox che agivano tra di loro da rete potendo così rendersi indipendenti (entro certi limiti) dai collegamenti ADSL.
Ma come spesso succede ai progetti italiani, il progetto Pbox esaurì energie (e soldi) e di lui restano solo una dozzina di Pbox sparse per il mondo (alcune delle quali funzionano ininterrottamente da più di 5 anni).
Qualche anno dopo, per l’esattezza nel 2009, Agorà Digitale , associazione telematica della “Galassia Radicale” riprende il progetto Pbox, ribattezzandolo RoseBox e proponendosi di realizzare un hardware dedicato a basso costo, ed una interfaccia utente semplicissima ed amichevole, per rendere l’oggetto alla portata di tutti. Il progetto si arenò purtroppo dopo poco più di un anno per mancanza di energie e fondi: progettare, prototipare e realizzare un hardware dedicato non è cosa da poco, anche con i moderni mezzi di produzione elettronica di piccola serie ( Arduino docet).
Ed arriviamo all’inizio di quest’anno. Riscoprendo il concetto che disporre di un computer silenzioso, economico, piccolo che girasse PET, agisse da firewall e partecipasse a reti mesh sembrava cosa buona, giusta e potenzialmente rivoluzionaria, nel senso che rendeva almeno parzialmente indipendenti i suoi possessori dai collegamenti ADSL, Eben Moglen affronta il problema “all’americana”, cioè in maniera non artigianale ma “industriale”, con ottima risonanza mediatica e di partecipazione.
Il progetto FreedomBox è ancora in fase preliminare, ma si strutturerà in due parti principali. La prima dovrebbe essere dedicata alla realizzazione di un hardware general purpose, a basso consumo ed headless, dotato di interfaccia WiFi, forse 3G e di costo economico (50-100 euro). Potrebbe essere grande quanto un alimentatore di quelli che tutti abbiamo a dozzine a casa.
La seconda dovrebbe essere la realizzazione di un sistema operativo personalizzato con le applicazioni PET necessarie e dotato di configuratori automatici.
In questo modo la FreedomBox risultante dalla loro unione dovrebbe essere quello che i tecnici chiamano “appliance”, cioè un sistema informatico che il cliente compra, installa e vede come se fosse una scatola, senza cose da configurare o da controllare. Una presa di corrente (o alcune batterie) e via, proprio come i moderni modem/router ADSL (che sono infatti oggetti di questo tipo).
Quindi di nuovo “Vogliamo scatole, non programmi”. Speriamo che il professor Moglen e la FreedomBox Foundation abbiano successo nel far materializzare per la prima volta su scala industriale questo piccolo ed antico sogno, rendendolo davvero alla portata di tutti.
E chi ci credesse, ed avesse tempo e voglia… Sapete che si può partecipare?
Marco Calamari
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