L’ultima settimana ha visto la chiusura delle liste e l’inizio della campagna elettorale vera e propria, per ora limitata ad alcune stoccate di assaggio e senza combattimenti veri e propri. Abuserò perciò oggi a fondo della pazienza dei miei undici lettori con una serie di ragionamenti generali di tipo qualunquistico . La connotazione negativa di questo termine può essere parecchio stemperata da una lettura della breve storia del movimento dell'” Uomo Qualunque “. Anche il significato di questa parola, come di altre di cui ci siamo già occupati qui (senza voler estendere il parallelo in nessun modo), è stato ridefinito fino ad assumere il significato odierno, incondizionatamente negativo.
Ma torniamo all’argomento del titolo. Da qualche elezione il manifesto elettorale pare essere diventato, come lo è stato in tempi passati, un veicolo importante per far giungere i messaggi politici. Un vecchio medium riscoperto, insomma. D’altra parte il manifesto dei cosacchi che si abbeverano nella acquasantiere di piazza S. Pietro lo conoscono anche coloro che non lo hanno mai visto.
I dibattiti televisivi vedono (finalmente) un comportamento quasi civile tra i partecipanti, che però continuano a parlare di questioni di principio e a sciorinare numeri solo durante la citazione di sondaggi. Proposte reali, verificabili, misurabili: zero (almeno per quello che ho avuto modo di vedere). La dialettica in atto pare quindi limitata (per ora?) a dichiarazioni di principio e proclami, e questo si percepisce meglio nei manifesti e negli slogan che nei dibattiti.
Ricordate quando sul mercato italiano sono arrivati uno dopo l’altro i gestori di telefonia mobile? Per imporsi sul mercato hanno dovuto creare delle icone che li rappresentassero e li distinguessero. Il risultato fu la creazione di una icona sensuale (vi viene in mente qualcuno, anzi qualcuna?) da parte di Omnitel, di un’icona giovanile, amichevole e spiritosa da parte di Tim e di una icona infantile, pura ed innocua da parte di Blu.
Sarà un caso, ma l’ultima è quella che è durata di meno e la prima è quella che ricordano tutti; forse un esempio di “chi prima arriva….”? L’evoluzione dei messaggi pubblicitari e delle offerte reali verso gli utenti è continuata in questo senso: tanti effetti speciali e pochi fatti.
Da una parte pubblicità sempre più “gridate”, sempre più martellanti, sempre più piene di star, sempre più costose, sempre più vuote di ogni informazione, sempre più piene di distorsioni volte a ghermire nuovi clienti con messaggi oltre il limite della correttezza commerciale, tanto che la pur lenta e poco incisiva Autorità Garante è dovuta ricorrere spesso a (tardive e leggerissime) sanzioni.
Dal lato opposto offerte commerciali sempre più illeggibili e poco decodificabili, con tariffe complesse e poco chiare, comunque molto care rispetto alla media europea, e che costringono l’utente a gimcane intellettuali ed a continue attenzioni per non lasciarsi fregare prendere troppi soldi. Offerta variegata e ricca, potrebbero dire le aziende interessate. Mancanza di offerte chiare e propagandate con i fatti e non con acchiappacitrulli, ribatterei piuttosto io.
Non ci sono stati cambiamenti, anzi questo andazzo si è esteso anche all’offerta di banda larga e di servizi IP. In sintesi: nessuna considerazione e nessun rispetto del consumatore, visto solo come pollo decerebrato da spennare e difeso da nessuno.
Ma non stavamo parlando di politica? Certamente, infatti il “sapore” che questo inizio di campagna elettorale mi ha fatto sentire è esattamente lo stesso. Tramite i primi interventi c’è chi ha sposato la “sicurezza” come messaggio primario, costringendo tutti gli altri a distinguo artificiosi, ed a slogan che evidenziano la solidità e l'”alleanza”. È curioso, ma forse perfettamente naturale se pensiamo alla caratterizzazione del provider di telefonia mobile, che siano proprio i partiti più piccoli a muoversi per primi ed occupare valenze simboliche per cercare una identità mediatica e contemporaneamente renderla parzialmente o totalmente indisponibile alla concorrenza.
Volendo continuare con l’analogia telefonica, possiamo vedere come cavalli di battaglia popolari ma scomodi, difficili da gestire e forieri di autogol quali “lotta alla pedofilia” o “difesa della vita” vengano strumentalizzati dai partiti maggiori, con reciproche invasioni di campo ma per ora in sordina, come per effettuare un sondaggio e vedere le reazioni della gente.
Chi invece non conta solo sulla creazione di una pur artificiale identità mediatica ma sulla forza ritarda le prese di posizione, si muove tatticamente contando su un robusto schieramento di artiglieria pesante e pensando al confronto finale con il vero avversario.
In tutto questo i programmi cosa sono diventati?
Dieci righe di slogan?
Duecento pagine fitte di tuttologia (slogan lunghi)?
In realtà i programmi elettorali in Italia contano meno di una giusta quantità di capelli, importantissimi per l’immagine di un candidato, che qualche volta si materializzano addirittura passando da Photoshop e dai manifesti al mondo reale. Dove stanno le cose necessarie e verificabili nei programmi? Le prese di posizione chiare, i diritti civili, la difesa della legalità, una “cultura del fare” contrapposta ad una cultura “del dire” che per i politici si traduce in una “dell’apparire” perché è quella che (grazie a noi) li premia.
In molti punti pubblicità e l’attuale propaganda politica sono equivalenti. La pubblicità funziona non perché istupidisce gente intelligente. Funziona perché fa scattare condizionamenti ed automatismi quando non siamo attenti, quando siamo pigri, annoiati, come spesso accade tra gli scaffali di un supermercato o davanti alla televisione.
Assistiamo ad un dibattito politico fatto non di programmi realizzabili ma di slogan elettorali; testi e figure in quadricromia pieni di immagini apocalittiche o di paradisi tropicali, di massimi sistemi e di massimalismi.
Non servono biglietti per un atollo tropicale, o poter spedire 10mila SMS gratuiti il 29 febbraio; ci servono autobus economici, puliti, dignitosi e senza borseggiatori, che facciano lasciare l’auto a casa, con biglietti privi di RFID gabellati per un migliore servizio agli utenti. Serve poter telefonare o mandare mail a tariffe europee senza dover perdere ore a leggere contratti e temere di aprire la bolletta, senza essere schiavi dei fornitori di servizi ma piuttosto utenti con possibilità di scelta.
Serve una politica piccola e fattiva, di cose minute, verificabili e verificate dagli elettori.
Altrimenti basta politica, “Totti for president”, MMS gratuiti per tutti a vita e via così.
Ma per dove?
Marco Calamari
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