Da qualche tempo ricevo un numero crescente di strane mail provenienti da conoscenti al di sopra di ogni sospetto. Propongono di partecipare a nuove comunità virtuali con motivazioni variegate, ma tutte con il comun denominatore di fornire reputazione e/o servizi ai nuovi partecipanti tramite la condivisione di informazioni personali.
Data la stima che ho di alcuni dei mittenti, anche un informatico stile “batch” come me non ha potuto continuare a disinteressarsi completamente del fenomeno. D’altra parte anche io partecipo ad una rete sociale elementare come LinkedIn , quindi non posso considerarmi duro&puro sull’argomento.
La mia esplorazione di alcune reti sociali è avvenuta dall’esterno e con l’uso di molta attenzione, visto che i problemi di privacy di questo tipo di entità sono noti da tempo. Risultato?
Versione breve: “Noi siamo quello che navighiamo”; se ci tenete alla vostra identità digitale statene lontani!
Versione lunga: continuo a stupirmi di come persone assennate, profondamente istruite ai misteri della Rete, magari anche geniali nel loro campo specifico, capaci di comportarsi in maniera sofisticata negli ambienti più svariati e versate nei rapporti sociali, sbrachino completamente quando queste interazioni diventano mediate dalla Rete o potenziate da tecnologie informatiche.
Certo, dall’essere orso qual sono e sono sempre stato forse deriva una sottovalutazione dell’empowerment sociale fornito dal partecipare a queste reti; del resto anche gli anelli nel naso ed i tatuaggi mi sono sempre apparsi poco efficaci come strumenti di interazione sociale, oltre ad ispirarmi una innata diffidenza.
Assodata la mia cecità totale ai vantaggi del partecipare alle reti sociali, sono pero’ dotato di una buona sensibilità per gli svantaggi, anzi chiamiamoli pure “danni”. Le considerazioni solo in negativo che esporro’, se condivise, saranno poi eventualmente da inserire nel vostro personale bilancio costi/benefici.
Siamo quello che navighiamo.
Siamo quello che messaggiamo.
Siamo quello che chattiamo.
Siamo quello che scriviamo nelle mail.
Siamo qualsiasi informazione da noi prodotta, acceduta, trasformata. Ogni piccola increspatura nella Matrice da noi provocata è e resta sempre parte di noi.
Tutte le reti sociali sono basate sul presupposto di condividere una parte di informazioni personali con altri, compiendo un atto apparentemente solo di valenza sociale, ma contemporaneamente cedendole ad una entità commerciale non umana che ne diventa proprietaria o comproprietaria; questo equivale ad una automutilazione del sé digitale, alla vendita di un organo, ad una parziale subordinazione ad una entità indefinita ma certamente aliena.
Non possiamo cedere i nostri contatti, i nostri bookmark, le nostre foto, le nostre (ed altrui) mail, i nostri dati, il nostro DNA digitale (e magari anche quello biologico) e poi pensare di essere gli stessi di prima.
Non si tratta di un semplice (semplice?) problema di privacy; si tratta di conservare integra quella parte di noi stessi che, volenti o nolenti, si è trasferita nel cyberspazio, ma che non per questo è diventata irreale o voluttuaria. Una cosa è farla conoscere ad altri, permetterle di crescere ed evolvere, cosa ben diversa è invece alienarla completamente in favore di altri, e farlo in maniera noncurante, trascurata al limite dell’incoscienza. Condividere sì, cedere no.
Avete veramente bisogno di vendere un rene? Non lo state scambiando con qualcosa di cui non avete lo stesso bisogno? Non state scambiando qualcosa di insostituibile con qualcosa di voluttuario?
I padroni delle reti sociali commerciali sono entità economiche, non sono i partecipanti; anche se a noi familiari, sono entità con scale di valori non umane, simili a quelle di una società per azioni, in certi casi molto simili a quelle di Predator , e senza nessun Schwarzenegger nelle vicinanze.
Il paragone con il pusher che ti regala le prime dosi per procurarsi un nuovo cliente a vita è molto calzante; nessuno regala niente per niente, e la cessione di informazioni personali non puo’ essere un gioco win-win, è piuttosto simile ai classici giochi a “somma nulla” in cui chi vince lo fa sempre a spese di chi perde. Leggete pagina dopo pagina le condizioni di servizio, invece di approvarle con un click tanto veloce quanto distratto.
Ora, è pacifico che siete perfettamente liberi di continuare a registrarvi a qualunque cosa vi sorrida dalla Rete in maniera nuova; siete ahimé altrettanto liberi di sguinzagliarla verso i vostri conoscenti. Solo, non crediate che sia un gioco. E non siate nemmeno certi che i vostri amici la gradiscano.
Siate invece sicuri che il vantaggio che ne otterrete sarà marginale e di breve durata, mentre il costo ve lo ritroverete puntuale per lungo tempo, come e peggio della rata di un mutuo. Non ne otterrete una casa per voi ed i vostri amici, ma costruirete piuttosto quella di altri.
Marco Calamari
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