Sapete, avevo la netta sensazione che il titolo originale non avrebbe avuto la stessa attenzione. Si, perché in effetti “La licenza del cavo” poteva essere non compresa, o magari giudicata una battuta, assurda, incredibile. Eppure proprio di questo si tratta, ed in effetti aggiungendo una sillaba è possibile inglobare nel titolo anche il finale.
Criptico eh? Vabbè, un passo indietro ed andiamo con ordine.
È da poco apparsa nelle pagine interne delle notizie di tecnologia una news che comunica il probabile ritiro di un tipo di cavi prodotti da Belkin per motivi di licenza (sì, avete letto bene: “cavi” e licenza”).
Si tratta di un cavo HDMI maschio/MiniDisplayPort, che rende possibile connettere un portatile Macintosh ad un televisore digitale. Ma come è possibile che un cavo violi una licenza? Qualcuno si è preso la briga di brevettare un cavo?
In effetti sì, e questo tra le altre cose è una misura di quanto i veri meccanismi di funzionamento dell’elettronica di consumo siano ormai lontani dalla conoscenza e dalla mente dei consumatori. Il problema non è però la complessità di certi argomenti, ma il menefreghismo che porta a non voler nemmeno conoscere alla lontana cosa c’è nel proprio salotto o nel proprio portatile.
Cominciamo a dire che alle due estremità del suddetto cavo non ci sono due apparecchiature elettroniche, ma due entità giuridiche: da un lato l’ HDMI Licensing LLC , e dall’altro Apple , che sono proprietarie dei brevetti relativi ai due connettori sopraddetti.
“Ecco, dirà qualcuno, le solite angherie tipiche del gigante di Cupertino”.
Non proprio: diceva il Manzoni nei “Promessi Sposi”, parlando di Renzo e Don Rodrigo, che “(…) a giudicar per induzione, e senza la necessaria cognizione dè fatti, si fa alle volte gran torto anche ai birbanti”.
Facciamo quindi tesoro delle raccomandazioni del Nostro, e traiamo anche spunto dalla frase successiva: “Ma noi, co’ fatti alla mano, come si suol dire, possiamo affermare che, se colui non aveva avuto parte nella sciagura di Renzo, se ne compiacque però, come se fosse opera sua”.
Infatti pur essendo da sempre Apple una grande sostenitrice e praticante della cosiddetta “proprietà intellettuale”, in questo caso l’azione viene dall’altra estremità del cavolo cavo, cioè dalla HDMI Licensing LLC, azienda fondata dai maggiori produttori di televisori e proprietaria delle specifiche tecniche e del marchio HDMI.
La suddetta azienda sostiene che il cavo oggetto del contendere, pur conforme alle specifiche fisiche, elettriche ed elettroniche e perfettamente funzionante (oltre che assai utile), viola le specifiche tecniche non rientrando tra i casi previsti di ciò che può essere definito “cavo HDMI”.
Il nocciolo della contestazione, secondo appunto i detentori della cosiddetta “proprietà intellettuale” della specifica HDMI, è che un cavo HDMI deve per forza avere due connettori HDMI: se non li ha, come in questo caso, non solo è fuori specifica e non può chiamarsi “cavo HDMI”, ma essendo la specifica proprietà della HDMI Licensing LLC è addirittura illegale e passibile di richiesta di ritiro dalla vendita.
Ora è evidente che quello che è successo è qualcosa di imprevisto, troppo stupido per aziende che in fondo guadagnano ambedue vendendo ai consumatori, e che probabilmente alla fine una soluzione di convenienza verrà trovata. Certo che un cavo come quello in oggetto frutta solo una royalty invece di due (l’altra probabilmente va ad Apple), mentre un cavo HDMI normale più un adattatore attivo HDMI/Minidisplayport frutta 3 royalties + 1 alla Apple ed obbliga il consumatore ad acquistare due prodotti al posto di uno. Tutto business in più dunque.
Ma decodifichiamo la vicenda dal punto di vista del consumatore e ne vedremo delle belle. Un cavo HDMI non è solo la versione digitale di un cavo SCART, ma è una componente attiva e importante di un sistema che nasce per implementare DRM nella maniera più standard ma contemporaneamente più chiusa possibile. Ecco il perché di specifiche chiuse, proprietarie e gestite da gruppi ristretti di aziende. In questo quadro sono indispensabili: è grazie a queste che le aziende acquistano un ruolo simile a quello dei “Cartelli” dell’800 e primo ‘900, di quasi monopolisti e controllori di un mercato.
Quindi niente standard aperti, niente concorrenza, niente competizione in un ecosistema digitale competitivo. Soliti tristi monopoli, prezzi alti, poca circolazione delle informazioni. Cavi, anzi cavoli amari per i consumatori disattenti o menefreghisti, che non si pongono domande e non si interessano di come va il mondo in cui vivono.
E di conseguenza cavoli amari per tutti.
Marco Calamari
Lo Slog (Static Blog) di Marco Calamari
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