Prologo:
Giornalista: “Sui vostri server voi salvate qualsiasi informazione che sia mai stata inserita in Facebook, indipendentemente da fatto che sia cancellata, deselezionata o altro?”
Dipendente di Facebook: “Questo a oggi è essenzialmente vero. L’unico motivo per cui stiamo cambiando questa situazione sono le prestazioni del sistema.”
Le due frasi sono l’inizio di un’intervista “anonimizzata” ad un dipendente di Facebook apparsa pochi giorni fa su therumpus.net , una giovane, peculiare e solitamente ben informata rivista telematica newyorchese.
La lettura dell’articolo completo, che sono stato tentato di riportare qui, è fortemente consigliata a tutti, ma in particolare a coloro che si sono posti delle domande su Facebook ma non hanno avuto il tempo o la pazienza di cercare delle risposte.
Per riassumere, nell’intervista si parla di:
– l’esistenza di una master password per qualsiasi account di Facebook;
– impiegati licenziati per aver abusato dell’accesso agli account;
– il vero numero e le abitudini più strane degli utenti di Facebook;
– numero, dimensioni e caratteristiche dei datacenter;
– future evoluzioni tecnologiche della piattaforma (HyperPHP);
– peculiarità ed abitudini degli sviluppatori;
– l’immenso database di immagini che Facebook sta accumulando.
Ma la notizia più importante, riferita testualmente nell’intervista, ma che permea anche ogni singola parola e fatto riferito, è che tutto, tutto , quello che un utente fa o carica su Facebook viene memorizzato permanentemente, permanentemente , in una struttura di database facilmente ricercabile e di cui vengono frequentemente salvati snapshot ed effettuate repliche tra i datacenter.
Ora, è chiaro anche a chi non sia addentro alle abitudini ed alle tecniche giornalistiche che l’intervista è adattata e manipolata per renderla anonima ma mantenerne realismo e contenuto. Il nome dell’intervistatore è probabilmente uno pseudonimo, e alcuni dettagli riferiti, che permetterebbero a Facebook di identificare facilmente l’impiegato, anzi l’impiegata ciarliera, sono con grande probabilità deliberatamente falsificati a questo scopo.
L’intervista è stata quasi istantaneamente commentata da moltissime altre riviste e blog, due tra tutti TechCrunch e Cnet . A quest’ultimo Larry Yu, un portavoce di Facebook, ha rilasciato questo commento ufficiale:
“Questo articolo contiene il tipo di imprecisioni e distorsioni che ci si possono aspettare da qualcosa arrivata da fonti anonime , e noi le lasceremo in questo stato”.
È interessante che non abbia dichiarato, usando termini altrettanto aziendalisti ed ufficiali, qualcosa che potesse riassumersi con un più diretto “Sono tutte balle dall’inizio alla fine”.
Alcuni fatti riferiti, come le future evoluzioni del sito, diverranno per forza pubblici in pochi mesi, e questo potrà essere un’ulteriore conferma dell’autenticità dell’intervista. Però non voglio addentrarmi in un territorio a me poco “familiare” come Facebook, di cui conosco le tecnologie ma su cui ho operato solo indirettamente e/o dietro le quinte (è vero che trovate due miei omonimi su Facebook, ma nessuno dei due sono io).
Ognuno, se vorrà, potrà formarsi la sua opinione e trarne le debite conseguenze: a me appare chiaro che astenersi dalle comunità sociali, e in particolare da Facebook, permetta di “disconnettere” uno dei maggiori “Grandi Fratelli” di questa Rete sempre più impicciona e pericolosa.
Mi colpisce come una mazzata e suscita un forte eco nei miei pensieri il candore di un commento dell’intervistato:
“(…) è tutto memorizzato in un database. Letteralmente tutto . I vostri messaggi sono memorizzati nel database, che siano cancellati o meno. Quindi basta interrogare il database per esaminarli facilmente, senza nemmeno dover entrare nel vostro account. Questo è il fatto che la maggior parte della gente non riesce a capire”.
Proprio vero, lo grido da dieci anni e chiamando tutto questo con il suo vero nome: “data retention”.
Voi utenti o famuli di Facebook, riuscite a capirlo?
Lo Slog (Static Blog) di Marco Calamari
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