Dopo le magistrali stoccate partite dal fioretto dell’ottimo Massimo Mantellini, poco rimane da dire sulla demenziale situazione dei dati fiscali che ha incredibilmente riempito pagine e pagine sui quotidiani, solitamente refrattari alle serissime violazioni della privacy perpetrate, ad esempio, in nome della sicurezza. Una domanda però rimane doverosa: nelle azioni del Garante della Privacy Franco Pizzetti sul caso dei dati fiscali si può leggere un un atto dovuto di difesa della privacy? È possibile, anche se personalmente non sono d’accordo.
È strano per me, come maniaco della privacy degli individui, dover invece dichiarare che la pubblicazione in Rete degli importi della dichiarazione dei redditi di ogni contribuente è un atto positivo e doveroso.
È doveroso perché a fronte di un obbligo di legge, che prevede che i dati sul reddito siano pubblici, il fatto di renderli consultabili facilmente ed a costo zero – sia in termini di soldi che di tempo – è la logica e cristallina conseguenza.
È positivo perché, se conoscenza dev’essere, allora deve essere semplice immediata ed uguale per tutti.
Visto che chiunque abbia un interesse specifico può conoscere il mio reddito, perdendo tempo per andare nel mio comune di residenza, allora anche io voglio poter conoscere gli stessi dati di chiunque, e come cittadino voglio farlo rapidamente ed economicamente grazie all’informatizzazione della Pubblica Amministrazione ormai obbligatoria per legge.
Altrimenti, diciamo pure che i dati sul reddito non sono pubblici, ma allora li devono conoscere solo al Ministero delle Finanze a all’ufficio delle imposte del mio comune. Dati segreti e privati. Se non lo sono, allora devono essere pubblici ed accessibili.
La posizione del Garante, dopo un intervento forte e tempestivo, ma effettuato con una terminologia incerta, è stata modificata da una serie di dichiarazioni sempre più strane, in cui par di sentire il rumore delle unghie sugli specchi. L’ultima è che i dati devono essere pubblicati ma solo per la durata di un anno, e poi cancellati, e visto che i motori di ricerca indicizzano per l’eternità allora non si possono pubblicare gli elenchi in questo modo.
E visto che l’informazione vuole essere libera, la pubblicazione sul P2P di ciò che nelle poche ore di vita della pagina è stato scaricato è la logica, naturale e perciò anche giusta conseguenza. Inutile che il Garante minacci di dichiarare la cosa illegale, come un babbo che minaccia gli sculaccioni.
Ora io non chiedo che il Garante debba sempre avere una conoscenza approfondita della Rete e che perciò dovesse accorgersi subito che l’implementazione dell’Agenzia delle Entrate era resa non indicizzabile, tramite un elementare “captcha”, cioè un campo da riempirsi con un numero casuale scritto sulla pagina che rende il tutto a prova di robot. Non gli chiedo nemmeno di sapere che ci sono mezzi più sofisticati ed efficaci, captcha migliori ed altre tecnologie per rendere ancora più sicura la non indicizzabilità. Chiedo però al Garante di parlare del mondo (della Rete) reale, non di un mondo ideale in cui si può fare e vietare quello che si vuole; nella Rete reale, come nel mondo materiale, i dati, una volta pubblicati, non possono essere più cancellati perché diffusi e copiati aldilà di ogni controllo. Al massimo si può ordinare ad una Pubblica Amministrazione di cancellarli, non al mondo intero.
Chiedo inoltre al Garante di occuparsi non solo del lato formale della privacy, ma anche di quello sostanziale.
Eseguire una schedatura di chi accede a dei dati pubblici come garanzia della privacy di chi è elencato in quei dati non è la soluzione al problema. Somiglia invece all’agire di quel navigante che, avendo notato che la sua barchetta rischia di affondare perché si è aperto un buco sul fondo da cui entra l’acqua, ne apre un secondo per permettere all’acqua di uscire. Gli chiedo di occuparsi ad esempio della impossibilità pratica di cancellare un dato errato nelle banche dati dei protesti, occupandosi di come funzionano e non di come dovrebbero funzionare.
Al Garante chiedo di non disperdere energie in iniziative che sembrano sempre meno a difesa della privacy, e somigliano sempre più ad attività di tipo censorio. Di non perdere di vista la sostanza del suo ruolo mentre lavora sulle regolette da dettare in tempo reale sull’onda dell’ultima notizia da prima pagina.
Nel frattempo i soliti noti della casta degli evasori fiscali apprezzeranno senz’altro di rimanere in una relativa oscurità.
A me invece, dopo aver pagato tutte le mie tasse da dipendente, e dopo aver subito fino alla nausea la notizia che Beppe Grillo ha guadagnato 4 milioni di euro, piacerebbe davvero sapere quanto dichiarano certi personaggi dall’esternazione facile o dalla fattura difficile.
Poterlo fare facilmente ed in maniera semplice, non pagando un commercialista, non venendo schedati una volta di più in comune come “sovversivi” che hanno chiesto di accedere ad informazioni che “pubbliche” sono solo in teoria.
Indicare come utile e lodevole lo schedare gli schedati che esercitano un loro diritto non è affatto quello che vorrei sentirgli dire.
Marco Calamari
Tutte le release di Cassandra Crossing sono disponibili a questo indirizzo