La costituzione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ( ANAC ) è stata salutata con molto favore e tante aspettative da molta brava gente. Una fetta di minoranza della brava gente, avendo vissuto nel Bel Paese per molto tempo, ha espresso scetticismo: tra di loro i più corretti hanno però “sospeso” la loro opinione in attesa dei fatti.
Cassandra è stata particolarmente colpita dall’approccio applicato dall’ANAC riguardo ai processi ed ai metodi da seguire nella Pubblica Amministrazione per ricevere denunce anonime, o con termine più moderno, denunce dai whistleblower. Questa storia era partita molto bene, con la rapida pubblicazione di una bozza di regolamento “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”, e contemporanea apertura di una pubblica consultazione sul testo della medesima, consultazione che si è chiusa il 16 marzo.
Purtroppo già il primo esame della bozza fa stringere il cuore sia di chi crede nelle virtù dell’anonimato, quando usato al posto giusto nel momento giusto, sia di chi sperava in una procedura snella, amichevole e garantista nei confronti del whistleblower.
In estrema sintesi, l’approccio proposto da ANAC è che un whistleblower che vuole interagire con una Pubblica Amministrazione debba innanzitutto fornire le proprie generalità e mansioni ad un apposito sistema informatico. Successivamente il sistema cripterà tutte queste informazioni e fornirà al non più anonimo whistleblower l’autorizzazione a presentare la denuncia anonima.
A questo punto qualcuno dei 24 increduli lettori dirà che Cassandra è in anticipo di parecchi giorni, e che il primo d’Aprile è ancora lontano.
È vero, il primo di Aprile è ancora lontano, e la proposta di regolamento ANAC, prima di descrivere come gestire la denuncia stessa, si dilunga (le prime 8 di 14 pagine) sull’identificazione del denunciante “anonimo” e sulla costruzione di un software crittografico che metta in grado solo una persona di de-anonimizzare il malcapitato l’ingenuo l’autolesionista , insomma, il whistleblower.
Ora in effetti esiste un “razionale” legale dietro tutto questo, e cioè di non ledere i diritti di un possibile indagato o imputato, che vedrebbe in qualche modo limitata la sua possibilità di difendersi non sapendo chi “ringraziare” per la denuncia.
Può essere anche una logica sostenibile, ma è come discutere del colore di un’auto senza curarsi di sapere se serva un’utilitaria, una Formula 1, un trattore o l’Aston Martin di James Bond.
A cosa serve un sistema per raccogliere le denunce dei whistleblower?
A raccoglierle, a sollecitarle in maniera costruttiva, a dare fiducia a chi si trova in condizioni di imbarazzo o di pericolo.
A chi vive in condizioni di inferiorità perché non può denunciare il collega, il superiore o il “sommo” corrotto a causa della certezza della ritorsione.
Una risposta molto argomentata di Cassandra ed altri alla consultazione è già stata depositata . A sua volta Cassandra vorrebbe porre tre semplici domande all’Autorità Nazionale Anticorruzione.
L’ANAC pensa di instillare fiducia in chi oggi tace con un sistema ed un processo come quelli che descrive?
L’ANAC non teme di costruire un sistema che, come altri già divenuti storia, saranno aperti in pompa magna e chiusi in sordina dopo sei mesi o un anno perché nessuno li userà?
L’ANAC ritiene di riuscire a compensare i propri costi ed i costi di questi costituendi sistemi informatici e processi amministrativi tramite i risultati in termini di lotta alla corruzione che ne deriveranno?
In attesa delle risposte alla consultazione (e magari anche alle tre domande) porgo i miei più costruttivi saluti.
Marco Calamari
Lo Slog (Static Blog) di Marco Calamari
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