I neologismi anglofoni fanno venire le palpitazioni a Cassandra, ma oggi, di fronte a un grave pericolo per le future generazioni ha dovuto farne uso.
Ci sono dei “catastrofisti scientifici” come Joe Brewer che con proprietà di linguaggio, logica e citazioni scrivono alcune previsioni di sventura che purtroppo, oltre che ragionate, sono in accordo con molte cose serie che si leggono in giro, o almeno che vengono lette da chi ha l’abitudine di sfogliare una paper accademica ogni settimana e una rivista scientifica seria (non patinata) e magari in inglese ogni mese.
In buona sintesi Brewer, che sostiene di essersi occupato di cambiamento climatico dal punto di vista degli impatti sociali per molti anni, considera ormai certo che il cambiamento climatico è irreversibile, e che quindi nei prossimi decenni gli abitanti del pianeta verranno colpiti da catastrofi climatiche così intense da compromettere o distruggere buona parte delle strutture sociali e tecnologiche esistenti. E con esse il corpus di scienza, cultura e tecnologie faticosamente costruito negli ultimi due o tre millenni dalla razza umana.
Ha ragione? Speriamo di no, ma le profezie di sventura ben supportate da evidenze scientifiche hanno ahimè una forte tendenza ad avverarsi. Quindi le persone ragionevoli non possono restare con le mani in mano, aspettando che siano quelli che hanno meno interesse, cioè i governi, a decidere.
Brewer sintetizza la cancellazione della cultura e del sapere con l’immagine della Biblioteca di Alessandria data alle fiamme e persa per sempre. Nella sua immagine (avete visto Agorà ?) i bibliotecari corrono via con le braccia piene di rotoli in un estremo tentativo di salvare quella cultura che non sono riusciti a proteggere. Sanno perfettamente che il loro intento è inutile; forse proprio in quegli ultimi attimi vedono gli errori commessi come pomposi ma inefficaci conservatori della cultura.
Lo stesso vale oggi, dove su questo le decisioni sono state prese da una cultura scientifica che si è evoluta con modalità dettate da fattori economici impazziti, invece che dall’intento di generare benessere e conservare la cultura e la tecnologia.
Il commento all’immagine è andato certo oltre le intenzioni dell’autore, e si sono anche aggiunte le paranoie di Cassandra; ricordiamo però che la paranoia è una virtù, e che i paranoici scoprono spesso di essere stati degli ingenui ottimisti.
Vogliamo aggiungere quindi qualche aspetto pratico a una profezia altrui fatta propria? Certamente, e sarà dedicata alla Rete e dintorni.
Si tratta in effetti di una cosa molto semplice ed alla portata di tutti:
Basta linkare, bisogna copiare!
Basta informazioni solo nel cloud o nei database, l’informazione deve risiedere su dispositivi fisici, ma soprattutto su supporti fisici e in più posti possibile .
“Ma così si genererebbero problemi di sincronizzazione e aggiornamento – diranno i 24 informatissimi lettori – che comprometterebbero l’informazione stessa che vorremmo preservare”.
Certo, non c’è dubbio. Ma come in molti altri casi si deve cercare un bilanciamento tra esigenze contrastanti, accessibilità da una parte e disponibilità dall’altra; in questo caso facendo soffrire l’integrità.
Ci sono informazioni che possono stare tranquillamente nel cloud, come quelle delle comunità sociali, pur potendo essere spazzate via da un problema economico o catastrofico; nella stragrande maggioranza dei casi non valgono niente per la cultura, anzi forse perderle sarebbe un bene.
Altre informazioni possono stare nel cloud; i backup, posto che la copia originale sia memorizzata adeguatamente in locale e in più posti; in caso di catastrofe economica, sociale o planetaria saranno questi i veri backup, perché il cloud, e forse la Rete come la conosciamo oggi, si dissolveranno.
Le informazioni culturalmente più dense e più statiche, fotografie, scritti, riviste, articoli, paper universitarie, database di dati scientifici e altro devono essere replicati fisicamente il più possibile, e devono essere organizzati opportunamente completi dei metadati che consentano di trasferirli e riorganizzarli in maniera indipendente dal supporto informatico e dai computer usati per leggerli e memorizzarli.
Quest’ultima cosa, apparentemente facile, diventa un compito difficilissimo da far tremare i polsi. Lo sanno bene tutti coloro che si sono dovuti occupare del problema della conservazione della cultura digitale come Brewster Kahle , il mai abbastanza lodato fondatore di Internet Archive di cui Cassandra è una grande ammiratrice .
Le tecnologie dei libri, della televisione, della Rete e dei computer, come tutti sanno, sono i maggiori produttori di dati e informazioni al mondo. Quello che in molti non sanno o non giudicano importante, e quindi trascurano, è che sono anche i più grandi distruttori. Alcuni esempi?
Dove sono tutte le opere su CD-Rom che hanno affollato le edicole dello scorso decennio? Riuscite a utilizzarle o invece sono ormai inaccessibili per sempre perché addirittura legate a una particolare versione di un sistema operativo?
Progettazione demenziale e inaccurata dovuta all’inesperienza e alla novità? Mancanza di metadati che descrivano la codifica delle informazione? Uso sconsiderato di piattaforme proprietarie intrise della cosiddetta “proprietà intellettuale”?
Forse.
Ma cosa è successo al nastro originale dell’allunaggio perso durante l’archiviazione nel deserto? I dati del satellite meteorologico italiano Sirio, che venivano stampati solo su tabulati che riempivano una stanza? I dati della NASA, memorizzati su nastri ormai smagnetizzati dagli anni? Le vostre prime foto digitali, poste su dischetti che non siete più in grado di leggere? Quelle più recenti, spazzate via dal crash di un singolo disco?
Consideriamo che questi fatti sono accaduti solo a causa dei normali fatterelli dell’evoluzione tecnologica e a problemi di budget sempre più ristretti.
Ma se avvenisse qualche grave congiuntura economica? Qualche rivolgimento sociale grave e diffuso? Qualche catastrofe naturale o indotta dall’uomo? Embarghi informativi legali o addirittura ostili?
Oltretutto non costerebbe neppure molto migliorare le possibilità di sopravvivenza della parte immortale dell’umanità, se solo a una minoranza illuminata di persone importasse qualcosa.
Nel frattempo non memorizzate cose importanti sul cloud, e non linkate informazioni sui social e sui vostri siti. Distillate quelle importanti o insostituibili e copiatele; di quelle importanti fate backup su supporti e tenetele in luoghi diversi. Prima o poi, a voi stessi o all’umanità, serviranno.
E date qualche soldo a Internet Archive o alla Wikimedia Foundation , e a tutti gli altri volontari della Rete che remano faticosamente in questa direzione virtuosa. A quest’ultima, se presentate la dichiarazione dei redditi, potete donare anche il 5 per mille, che non vi costa niente, scrivendo 94039910156 .
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