Come ormai moltissimi sanno, a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione italiana, The Pirate Bay è stato nuovamente censurato, anzi per dirla in termini legali “sequestrato”.
Infatti la censura in quanto tale non sarebbe bastata a giustificare l’intervento della magistratura, che ha invece più ampie possibilità di intervento in materia di sequestri. Infatti prima della sentenza il sequestro era inteso solo come blocco di beni materiali, non applicabile ad un’oggetto immateriale come un sito web, che non è nemmeno censurabile non essendo soggetto alle leggi sull’editoria perché fuori dal territorio italiano.
Mi perdonino gli avvocati per la sequenza di approssimazioni e banalizzazioni delle due frasi precedenti, ma è stato necessario sintetizzare all’estremo per introdurre i tre punti che seguono.
Punto primo: la sentenza sull’ammissibilità dei sequestri di siti attuati mediante sovversione dell’infrastruttura di Internet in Italia sblocca altri importanti processi con caratteristiche analoghe. Quelli già in corso, che erano stati sospesi ed ora sono stati sbloccati dalla sentenza, per la loro portata causeranno azioni di censura sulla Rete italiana molto, molto più grandi di quella di “The Pirate Bay” o di quella a favore di AMS e contro i siti di gambling esteri.
Non si tratta di “possibilità”, ma di assoluta certezza.
Punto secondo: contro i “pirati” sono state usate le attrezzature “cinesi”, che bloccano non solo i DNS ma addirittura gli indirizzi IP, inserite per obbligo di legge dagli ISP italiani come conseguenza del decreto istitutivo del “Centro Nazionale di Contrasto alla Pedopornografia”. È un uso per scopi che niente hanno a vedere con questa materia, trattandosi invece di operazioni di censura dirette contro i soggetti più svariati che siano sottoposti a procedimenti giudiziari. Era un fatto facilmente prevedibile e da tempo previsto da chi si occupa di “diritti digitali”: una previsione così facile che anche i votanti del Big Brother Award dell’anno scorso l’avevano annunciato a voce alta.
Punto terzo: l’arma della censura della Rete italiana, il cui uso è ormai alla portata di moltissimi tipi di azione giudiziaria, e che si estenderà “naturalmente” a macchia d’olio a colpire le realtà più scomode e vulnerabili della Rete, attende un ulteriore tassello per trasformarsi in un meccanismo orwelliano senza scampo.
Si tratta della creazione, da più parti proposta con nomi diversi, di una “Autorità indipendente” di controllo sulle attività della Rete: se questo avvenisse, il filtro della Magistratura (entro ampi limiti “virtuoso” e garantista) verrebbe completamente rimosso, e la leva della censura della Rete italiana finirebbe direttamente in mano all’esecutivo e alle lobby rappresentate nella “Autorità” stessa.
Per i primi due punti non c’è più niente da fare, se non ribadire uno sconsolato “ve l’avevamo detto, è colpa vostra che non avete fatto niente, anzi che ve ne siete completamente fregati”. Può forse servire ricordare a chi a questo punto provasse un senso di colpa che aprire nuovi nodi Tor, specialmente di tipo “relay”, può contribuire a ridurre l’efficacia di queste operazioni di censura “cinese” della Rete italiana. Visto infatti che persino la stampa generalista ha definito lodevole questa operazione per promuovere i diritti civili in Cina, logica vuole che sia altrettanto lodevole farlo anche in Italia contro lo stesso tipo di censura. O no?
Per il terzo invece i giochi sono ancora da fare, e ci sono anche delle elezioni di mezzo. Può qui servire ribadire per l’ennesima volta il concetto che se il contrasto di questa attività non lo chiederanno a gran voce ed in maniera partecipativa gli elettori, non c’è speranza di evitare questa ulteriore catastrofe democratica?
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Lo Slog (Static Blog) di Marco Calamari
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