Nei giorni scorsi molto si è parlato, in Rete e fuori, della notizia dell’apparizione di un libro di riferiti contenuti pedofili sugli scaffali online della libreria di Amazon (Kindle Store), e dalla sua successiva rimozione .
Quasi ignorata è stata invece la notizia della successiva opera di rimozione, e quindi di censura, di altri libri dello stesso autore .
La Rete si è rapidamente riempita di opinioni legittime ed opinioni di opinionisti (e quindi mi piacerebbe dire “illegittime”); la maggior parte di esse erano manifestazioni di come sia facile scrivere quando si stacca il cervello e si collegano direttamente le mani con la tastiera. Non che non si trovino opinioni informate, motivate ed interessanti, come quella centrata sulla parte legale della questione apparsa su questo blog statunitense.
Si è quindi creato l’usuale clima di caccia alle streghe con torce e forconi e senza nessuna informazione di prima mano. Come sempre preoccupa quanta gente normalmente ragionevole entri in modalità “combatti ed uccidi” appena sente la famosa parola che comincia per “P”, e di quanto la Rete amplifichi questo tipo di reazioni. Ma, in questo caso, dovrebbe spaventare anche quando a guidare lo svolgimento di questioni importanti e con forte valenza emotiva sono la politica di basso livello e la logica del business, e non la ragione e l’etica.
Proviamo a riassumere i fatti:
1 – un perfetto sconosciuto, all’anagrafe Phillip Greaves , decide di pubblicare un nuovo libro (ne aveva già scritti parecchi) e per far questo sceglie di usare il sistema di autopubblicazione di Amazon, contenuto nel famoso (famigerato?) Kindle Store, affidando la propria opera ai bit senza passare dalla carta;
2 – dopo un certo tempo il titolo del suddetto libro, che suona “giustificazionista” verso il mondo della pedofilia, viene notato; non è possibile dare un giudizio diretto sul contenuto perché non più disponibile;
3 – scoppia un putiferio, in seguito al quale Amazon riceve pesanti pressioni perché rimuova immediatamente il libro dal suo negozio virtuale;
4 – Amazon comunica (anche Jeff ogni tanto ne dice una giusta) che in assenza di specifiche denunce nel merito non rimuoverà il libro per rispetto del Primo Emendamento della Costituzione (libertà di espressione e di stampa);
5 – il libro diventa un best seller del Kindle Store;
6 – nei giorni successivi il titolo di Amazon (in ascesa quasi costante) perde il 3 per cento;
7 – in seguito ai due fatti precedenti Amazon si dimentica improvvisamente il Primo Emendamento e, senza che nessuna accusa sia stata formulata od anche solo ipotizzata contro di essa o contro l’autore, ritira il libro dal Kindle Store.
Ora è evidente che alcune tristi considerazioni possono essere fatte su questa notizia, ma la più triste é che anche chi volesse scrivere un articolo ben documentato su questo episodio, e in generale sul problema della censura in Rete, non potrebbe farlo per l’impossibilità di leggere il testo scomparso.
Pur dovendo lavorare nel campo delle deduzioni, ritengo che la posizione garantista iniziale di Amazon, che ricordiamoci è un’azienda privata che risponde solo alla legge ed ai suoi azionisti (e probabilmente non in quest’ordine), abbia ben poco a che fare con il Primo Emendamento e molto di più con i suoi interessi commerciali. Ma davvero ce la vedete una grande multinazionale che prima pubblica un testo illegale e poi si rifiuta di rimuoverlo dai suoi scaffali virtuali?
La vera ragione è che con il suo sistema di autopubblicazione Amazon vuole diventare un mediatore di informazione, che fa tanto più business quanti più titoli vengono pubblicati. Per non correre rischi inaccettabili deve però garantirsi una posizione di non responsabilità sui contenuti pubblicati, simile a quella che giustamente anche i fornitori di connettività rivendicano rispetto ai contenuti, eventualmente anche illegali, che transitano sulla loro rete.
Questo probabilmente era il vero “valore” che Amazon ha tentato di difendere, ed il Primo Emendamento è stato solo un comodo ombrello. Quando però la difesa di un futuro reddito si è scontrata con la perdita certa ed immediata in Borsa, il vero motivo è stato istantaneamente accantonato e il libro rimosso con buona pace di Thomas Jefferson e del Primo Emendamento.
Altrettanto rimarchevole è la completa assenza di fonti originali della notizia; nessuno pare aver dato nemmeno una scorsa al libro, i più informati citano solo il titolo. Sarà perché nessuno fa la fatica di documentarsi, in particolare su una fonte difficile da reperire? Oppure perché i contenuti del libro in effetti non costituivano un reato? Negli Stati Uniti i cosiddetti sex offender , senza distinzioni di età e di tendenze, sono presi decisamente sul serio, talvolta persino in modi estremi come nel caso di stati che prevedono la pubblicazione sul Web di liste di persone con questi precedenti, complete di indirizzi aggiornati.
In un siffatto paese, il fatto che il signor Greaves non sia stato immediatamente accusato ed ingabbiato (e nemmeno impalato dai vicini di casa), che continui a rilasciare interviste e abbia ricevuto una pubblicità che non avrebbe mai potuto avere altrimenti, rende l’ipotesi che i contenuti non siano illegali praticamente una certezza.
Ma allora dove è la vera notizia? La notizia è che in tanti paesi incluso il nostro tante persone hanno impegnato l’usuale forcone virtuale e inneggiato alla censura come evento auspicabile e positivo .
Sì, è molto facile sostenere di vivere in un paese libero dove ci si può esprimere liberamente e poi, quando i temi si fanno scottanti o peggio, invocare la “rimozione per giusta causa”. Se nel testo si configurano dei reati, si procede contro di essi e si chiede il sequestro cautelare con procedura d’urgenza. Altrimenti non esistono cose come “censure giustificate”: se le si invoca, anche contro l’essere più odioso, è pura, semplice ed eticamente orrida censura . Una democrazia compiuta non può negare le proprie fondamenta senza imbarbarirsi: la storia degli ultimi anni lo dimostra ampiamente.
Intendiamoci, si parla di problemi complessi, che fanno leva anche su istinti sani e debolezze umane, e che non a caso da secoli vengono anche usati (lo dice il termine stesso di “caccia alle streghe”) come strumento di controllo sociale. Persino gli stati non sono immuni da debolezze antidemocratiche in forma di censura o di discriminazione: lo stato italiano ne aveva una di rara perversione che vietava ai discendenti maschi di un noto italiano del passato di entrare in Italia, vivi o morti. Lo stato tedesco ha una norma che vieta la pubblicazione di libri negazionisti nei confronti dell’Olocausto, e di altri testi nazisti. Con i cugini d’oltralpe condividiamo anche alcune norme che rendono illegali certi partiti e certi orientamenti politici.
Uno storico è perfettamente in grado di giustificare i motivi per cui certe norme esistono, ma un democratico certo non può farsene vanto, ma piuttosto chiedersi se non sono più un male che un bene, se il loro indebolire principi democratici sia davvero compensato da vantaggi di un qualche tipo per la società civile. Le democrazie hanno mezzi ed anticorpi per resistere, sono le dittature che per esistere devono fare roghi con i libri e avere liste di proscrizione degli avversari politici.
Per lo stesso motivo chi vuole proteggere gli innocenti deve anche considerare che gli istinti, per quanto sani ed onorevoli, devono avere i limiti dettati dalla ragione, e che perché la libertà esista veramente certi bocconi amari vanno buttati giù. Così eviteranno anche di sentirsi un giorno dire: “Ma tu dov’eri tu quando hanno abolito la libertà di espressione?”.
Marco Calamari
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