Tu, Unabomber e la Data Retention

Tu, Unabomber e la Data Retention

di Marco Calamari - Occhi aperti sull'uso del computer in certe indagini. Può assomigliare ad un oracolo ma non lo è. Se le domande che si pongono sono fallate, le risposte possono essere persino pericolose
di Marco Calamari - Occhi aperti sull'uso del computer in certe indagini. Può assomigliare ad un oracolo ma non lo è. Se le domande che si pongono sono fallate, le risposte possono essere persino pericolose

La storia di Unabomber, lo sfuggente personaggio che ha disseminato di trappole esplosive il nord Italia è più o meno nota a tutti, come è noto che le indagini volte ad identificarlo battono il passo da anni.
Martedì 29 è uscito su “La Repubblica” (cartacea, sono al mare!) un articolo a firma di Roberto Bianchini che faceva il punto della situazione riguardo ai metodi usati dagli investigatori ed ai risultati ottenuti di recente durante questa indagine.

Secondo quanto riferisce Bianchini, l’attuale filone di indagini è partito “…incrociando un milione e mezzo di dati sensibili, tra persone, date, luoghi, persino scontrini dei parcheggi vicini ai luoghi degli attentati, gli elenchi dei feriti mentre giocavano con esplosivi, e dei ricoverati usciti dagli ospedali psichiatrici.”
In questo modo “… a novembre i potenziali sospetti e controllati erano ancora 830. Poi sono scesi a 240 e negli ultimi tempi il cerchio si è stretto attorno a una dozzina di persone”.
Sono quelli definiti dagli inquirenti “colpevoli teoricamente perfetti”.

Fermi tutti: su quali basi? Ad esempio il possesso di:
“ovetti Kinder, penne a sfera gialloverdi svuotate, confezioni di bolle di sapone, bilancini, siringhe, filtri, tubi, guanti di lattice ed una sacchetto della spesa di un supermercato di Portogruaro”.

Grazie a Dio io faccio la spesa in un noto supermercato di Firenze, altrimenti avrei avuto in casa 9 di questi 10 indizi, in gran parte dovuti non al fatto di essere un novello unabomber, ma un “bricoleur” dalle mani delicate e con una nipotina di 4 anni. Ma anche 8 su 10 danno da pensare. Quanto è affidabile questa metodica di indagine? Quanto è probabile che ci capiti di essere tra quegli undici (e probabilmente 12) “colpevoli teoricamente perfetti” ma anche perfettamente innocenti?

E qui veniamo al punto. Nel lavoro, anche nel lavoro investigativo, in Italia come nel resto del mondo il “computer” viene ahimè spesso considerato come un oracolo. Una interrogazione con parametri in apparenza “ragionevoli” su una o più banche dati (più abborracciate che incrociate) diventa la linea guida degli investigatori per cacciare un pericoloso assassino e dargli l’ergastolo? Ma scherziamo?

Allora cosa succederà quando si realizzeranno le enormi banche dati dell’Interpol di recente autorizzate da apposite direttive europee, se verranno utilizzate in questo modo?
Dovro’ temere di avere un raid delle teste di cuoio in casa perché ho comprato gli ovetti Kinder per Sofia e sono finito tra i risultati dell’interrogazione di un database? Un database a cui un annoiato addetto ai lavori chiederà un numero a piacere di “colpevoli teoricamente perfetti”?

Automatizziamo! Abbassiamo i costi!

Creare banche di dati personali ed utilizzarle dove invece servirebbero (e sono state sempre usate) difficili e costose attività di intelligence, sarà la tendenza degli investigatori del prossimo futuro. E il risultato sarà quello già visto per analoghe iniziative in terra americana, raccontate a più riprese dall’ottimo Bruce Schnaier nel suo Crypto-Gram (diponibile anche tradotto ).

Sono convinto che gli investigatori cerchino onestamente solo di fare il miglior uso delle probabilmente scarse risorse che hanno a disposizione. Ma è il metodo ad essere terrificantemente sbagliato.
Come la maggioranza degli esperti che si occupano di informatica in campo legale sa bene, nel menù di una indagine non si puo’ sostituire uno stuzzichino alla bistecca, e pensare di sostituire freschi “oracoli informatici” ad una sana attività di intelligence non puo’ che portare a grossi guai per gli innocenti e ad una più probabile impunità per i colpevoli.

Innocenti che farebbero bene a preoccuparsene, anche chiedendo che vengano posti freni legislativi all’orgia di data retention che sembra ormai diventata attività non solo lecita e normale, ma addirittura dovuta.
Una data retention vista e propagandata come una pallottola d’argento che colpisce solo (e tutti) i cattivi. Anche Unabomber.
Oltretutto gli onesti non hanno niente da nascondere e quindi, secondo quello che sosteneva in maniera rassicurante anche Adolf Hitler – “Chi non ha niente da nascondere non ha niente da temere” – possono starsene tranquilli.

Marco Calamari

I precedenti Cassandra Crossing sono disponibili a questo indirizzo

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Pubblicato il
1 set 2006
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