No, non sto confessando che da piccolo rubavo password; ero curioso, volevo capire tutto e nemmeno sapevo chi fossero gli hacker. In effetti negli anni ’70 probabilmente in Italia ce ne erano pochi, ed allora mi sentivo solo una persona affascinata dai computer (la Rete ancora non c’era).
Questo titolo, che come spesso accade in questa rubrica è anche una citazione cinematografica , esprime invece la frustrazione di chi si sente tradito, imprigionato.
Non è la frustrazione di chi è stato trascurato dalle ragazze, perché alla fin fine non tutte lo hanno fatto. Nemmeno la stizza di chi cerca di spiegarsi e non viene compreso, anzi viene frainteso.
Quando abbiamo dovuto cominciare a fare i conti col quotidiano non siamo cambiati. Il fascino della tecnologia, la voglia di capire smontando e rimontando, di condividere il sapere, di aiutare gli altri a fare lo stesso sono ancora potenti in molti di noi.
Ma nel frattempo Hacker è diventato un termine di moda, con un significato sempre più negativo. Abbiamo tentato infinite volte di spiegare il travisamento che i giornalisti facevano del del significato di Hacker, abbiamo spiegato che si sbagliavano, che i cattivi che loro descrivevano si chiamavano Cracker, tutto l’opposto degli Hacker. Niente da fare, alla fine la gente ha appreso che gli Hacker sono criminali ed i Cracker invece non esistono, a parte quelli salati in superficie.
Non è servito a niente.
Sappiamo bene cosa siamo. Ma non siamo più nessuno.
Il nostro nome non ci appartiene più. Ce lo hanno tolto, scippato, rubato. Come maghi malvagi o bambini inconsapevoli i professionisti dalla carta stampata e del tubo catodico lo hanno relegato nel Lato Oscuro e lo hanno usato per i loro scopi, non occulti e malvagi, ma solo di convenienza per insaporire articoli insipidi e sconclusionati. E noi, abituati a far succedere tutto quello che volevamo con i bit, questo non siamo riusciti ad impedirlo. Ci abbiamo provato ma senza convinzione, perché non sembrava poi così importante.
Madornale errore!
Un nome è magico, è prezioso per chi lo possiede, fa parte di noi; persino per i popoli primitivi è una cosa evidente. La rabbia di essere stati scippati dell’essenza in cui ci riconosciamo e che ci unisce dovrebbe essere grande. Poco consola essere rimasti padroni dell’assai meno affascinante termine italiano di “smanettoni”, che suona giusto ma sa anche un po’ di presa in giro.
Un nome ed il suo significato sono importantissimi; la forza di un nome, di una parola, puo’ smuovere il mondo. E l’hanno rubata. Ce la siamo fatta rubare senza nemmeno reagire con convinzione. Come moderni Ulisse oggi possiamo solo dire che il nostro nome è Nessuno.
Mentre questo succedeva, alcuni sono cambiati dentro ed hanno archiviato l’essere hacker in mezzo ai ricordi di giovanili spavalderie, ma altri vivono ancora la loro vita da Hacker, e persino chi ci ha lasciato è rimasto tale anche nella memoria e nella Storia.
Alcuni Hacker hanno cambiato un pezzo di mondo, sia acclamati come primedonne sia restando semisconosciuti. Alcuni si sono arricchiti, talvolta approdando al Lato Oscuro come Signori Sith, molti no.
Certi, beati loro, ne hanno fatto un lavoro “normale”, moltissimi altri hanno continuato ad esserlo lavorando su cose meno divertenti per guadagnarsi la pagnotta, sottraendo poi ore serali alla famiglia ed al riposo.
Sopravviveremo, siamo una sottospecie dell’Uomo non destinata all’estinzione. Ma il nostro nome deve rimanere almeno in noi, senza la paura di essere fraintesi. Correte il rischio, chiamate voi stessi Hacker e spiegate il perché. Il linguaggio e la comunicazione sono importanti quasi quanto essere se stessi, e poi possono anche essere divertenti da hackerare.
Marco Calamari
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