La Corte di Cassazione ha condannato il gestore di un sito per il commento diffamatorio di un lettore ai danni di Carlo Tavecchio , presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio. I fatti risalgono al 2009, quando sul sito agenziacalcio.it – attualmente raggiungibile ma per questa stessa vicenda già oscurato e in ogni caso non aggiornato dal 2012 – è stato pubblicato da un utente, automaticamente senza un controllo da parte del gestore, un commento nel quale Tavecchio veniva definito “emerito farabutto” e “pregiudicato doc” e nel quale veniva anche allegato il certificato penale.
Se nel primo grado il gestore era stato ritenuto non colpevole in base al principio di non responsabilità degli intermediari, la sentenza in appello è stata ribaltata e il gestore di agenziacalcio.it condannato al pagamento di 60mila euro a Tavecchio per “concorso in diffamazione”. La Cassazione, che si è espressa nel merito di tale questione, ha confermato tale decisione, giudicando responsabile il gestore del sito anche se non supportato da una struttura professionale (eventualmente in grado di approvare tutti i contenuti) e anche se il commento non era anonimo.
La decisione arriva a sorpresa rispetto alla giurisprudenza sia italiana che a quella europea : oltre al caso italiano Vividown, per il quale la sentenza della Cassazione aveva per l’appunto ristabilito il principio della non responsabilità ma che era rimasto in sospeso per quasi 7 anni, lo scorso novembre era stato assolto in appello Massimiliano Tonelli, fondatore del sito cartellopoli.it che si occupa del degrado di Roma e che era stato condannato in primo grado per istigazione a delinquere in merito ad alcuni commenti anonimi. L’appello aveva dunque rappresentato una svolta rispetto alla linea interpretativa che aveva invece portato alla condanna nel 2014 al
gestore di nuovocadore.it , il cui titolare aveva provveduto alla rimozione del commento ritenuto diffamatorio ma – secondo l’accusa ed i giudici – non tempestivamente in quanto all’estero al momento della ricezione della diffida.
“Adesso, con questo orientamento che per la prima volta arriva in Cassazione, rischia di essere molto difficile gestire un sito web che abbia commenti” commenta Fulvio Sarzana, avvocato penalista sentito da Repubblica: “i gestori dovrebbero controllare ogni commento, chiedersi se può essere o no diffamatorio. Anche di quelli non anonimi” aggiunge.
In realtà la questione si discosta dalla precedente giurisprudenza per un punto: secondo i giudici di appello e la Cassazione, c’è concorso perché il gestore doveva sapere dell’esistenza di quel commento dal momento che il suo autore gli aveva mandato una mail contenente il certificato penale di Tavecchio. È per questo che non è stata accolta la tesi difensiva secondo cui il gestore non aveva contezza del contenuto del commento.
In ogni caso, se tale impostazione dovesse essere confermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione indipendentemente dalla fattispecie che ha portato alla valutazione della conoscenza del contenuto da parte del gestore del sito web, e nel frattempo non siano chiamati ad intervenire sulla questione i giudici europei, la questione rischia di avere pesanti ricadute sull’informazione web in Italia: senza considerare il destino di blog ed altri siti come nuovocadore.it e agenziacalcio.it che non avendo alle spalle una struttura professionale dovranno rinunciare ai commenti, complicata la questione dei commenti su siti, o anche testate giornalistiche, collegate a gruppi politici dove spesso compaiono commenti con una potenziale forte carica diffamatoria.
Inoltre occorrerà inquadrare sul punto anche la questione relativa ai commenti su Facebook e altri social network, in particolare se deve essere responsabile dell’eventuale diffamazione solo l’autore del commento o anche l’utente che lo ha ospitato sulla propria pagina o direttamente il social, come sembra per esempio intenzione del ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Claudio Tamburrino