All’entusiasmo con cui era stata accolta in rete la sentenza d’appello seguiranno ora sentimenti ben diversi: la Corte di Cassazione ha stabilito che vendere mod chip per Playstation è illegale (sentenza n. 33768), dando così ragione alle tesi di Sony.
La Suprema Corte si è espressa in merito al più noto caso in materia, quello che ha coinvolto la ditta “HS Distribuzione di Salorno (Bolzano)” gestita da Dalvit Oscar: era stato assolto dal Tribunale di Bolzano in appello perché la commercializzazione dei cosiddetti mod chip necessari a modificare le prestazioni della Playstation 2 non rappresentava a detta dei magistrati alcuna violazione del diritto d’autore. L’assoluzione era avvenuta con formula piena (“il fatto non sussiste”). In primo grado era invece stato condannato a sei mesi di carcere e a 6mila euro di multa .
Ed è la visione del tribunale di primo grado ad aver pesato anche nella decisione della Cassazione. Il Tribunale di Bolzano aveva infatti stabilito che i fatti ascritti a Oscar, risalenti al 2002, erano avvenuti prima che nel 2003 venissero inseriti i nuovi supporti informatici nelle normative antipirateria: in pratica il Tribunale sosteneva che mancava una indicazione sufficientemente specifica di questo genere di supporto (Playstation e mod chip) per poter considerare i fatti come un reato. Secondo la Cassazione non è così .
I giudici della Terza Sezione Penale hanno annullato la sentenza di appello spiegando che il reato sussiste comunque ai sensi dell’articolo 171ter della legge sul diritto d’autore. L’idea di fondo è che anche se le tecnologie cambiano, e cambia la fruizione dei supporti nonché il modo in cui vengono commercializzati, quello che non cambia è la protezione del diritto d’autore che secondo la Cassazione in questo caso si esplica nella protezione dell’integrità funzionale della Playstation.
In buona sostanza, dunque, chi distribuiva mod chip prima delle modifiche alla legge è colpevole quanto chi lo ha fatto dopo quelle modifiche. Quell’articolo di legge si estende infatti al di là delle tecnologie, che considera punibile chiunque venda sistemi “atti ad eludere, decodificare o rimuovere le misure di protezione del diritto d’autore o dei diritti connessi”. Secondo la Corte questo genere di locuzione riguarda anche la rimozione o l’elusione di sistemi di protezione integrati tra supporto informatico e dispositivo. Che poi tutto questo si traduca nei fatti in una limitazione dei diritti del consumatore non è questione considerata dal codice.
La vicenda
Come accennato, l’intera vicenda risale al dicembre del 2002 quando la Guardia di Finanza diede vita all’operazione Christmas Card , prendendo di mira e sequestrando migliaia di software e card pirata. Un’operazione scaturita da una segnalazione di Sony, che lamentava la pratica diffusa di rimuovere le protezioni che impediscono la lettura di giochi non originali o provenienti da mercati geografici diversi da quello di riferimento. Il possesso di software pirata da parte di un cliente della Hs Distribuzione aveva portato i militari della Guardia di Finanza ad inquisire il proprietario dell’azienda bolzanina.
La società, in realtà, vendeva i “mod chip”, ma con l’avvertenza agli utenti sui limiti del loro utilizzo: vale a dire convertire la consolle di giochi in un vero e proprio personal computer o, in alternativa, utilizzare giochi lanciati dalla stessa Sony in altre aree del globo (in primis Asia e Nord America), ma non ancora in Europa. Il contratto di vendita sollevava, invece, l’operatore bolzanino da qualsiasi utilizzo improprio e illegale da parte degli utenti.