Nella serata di ieri è stato presentato il nuovo DPCM (pdf) che entrerà in vigore il 6 marzo, con validità fino al 6 aprile: si tratta del primo intervento firmato Mario Draghi per il contenimento della pandemia e, nonostante gli evidenti punti di rottura in termini formali rispetto al precedente esecutivo, sussistono altresì forti linee di continuità a livello sostanziale. Un punto, in particolare, viene chiaramente ereditato e procrastinato: nonostante la caduta della Pisano, nonostante la sostituzione di Arcuri, l’app Immuni resta presente nel piano italiano anti-Covid.
Immuni è nel DPCM
L’app è citata all’interno dell’art. 5, laddove sono indicate le “misure di informazione e prevenzione sull’intero territorio nazionale”. Recita l’articolo:
al fine di rendere più efficace il contact tracing attraverso l’utilizzo dell’App Immuni, è fatto obbligo all’operatore sanitario del Dipartimento di prevenzione della azienda sanitaria locale, accedendo al sistema centrale di Immuni, di caricare il codice chiave in presenza di un caso di positività
Parole che, a onor del vero, suonano stonate. Immuni viene infatti portata avanti con il fardello di una obbligatorietà della segnalazione in capo agli operatori sanitari, qualcosa che in oltre un semestre di esperienza non si è mai riusciti a mettere a punto. Il testo è peraltro ambiguo, poiché se occorre l’obbligo della segnalazione della positività da parte dell’operatore sanitario, allora decade l’utilità del call center creato appositamente per risolvere questo snodo problematico che ha in buona parte ostacolato l’imporsi dell’app.
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Per certi versi è come se il DPCM facesse addirittura un passo indietro, restaurando Immuni pur in un momento nel quale la sua utilità pare ormai completamente derubricata: 10,3 milioni di italiani l’hanno scaricata, quasi 13 mila le positività segnalate (poche decine al giorno), 91 mila le notifiche inviate e ritmo di attività ormai al lumicino.
Eppure durante la conferenza stampa di ieri, pur senza mai fare alcun riferimento diretto, il dott. Brusaferro, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, ha ricordato come il tracciamento sia tornato ad essere fondamentale: consente infatti di isolare le nuove varianti con maggior incidenza, tentando di frenarne l’evolversi e quindi di facilitare nuove accelerazioni dei contagi. Come a dire: se avessimo Immuni diffuso sul territorio, aiuterebbe le scarne possibilità di tracciamento a cui può dar fondo l’autorità sanitaria con le proprie forze.
Contact tracing che non lo era
Con i “se” e con i “ma”, però, non si fa contact tracing: Immuni di fatto non c’è e non c’è più tempo per rilanciarlo. Perché allora includerlo nel DPCM? Probabilmente si tratta di un “residuo” del passato, sul quale non si scommetterà più, ma che sarebbe deleterio cancellare poiché rivelatosi valido pur se non utilizzato. Il testo con il quale si porta avanti Immuni, però, ribadisce quell’obbligo di segnalazione che non solo è sempre andato ignorato fino ad oggi, ma che ha rappresentato il vulnus principale di tutto il progetto.