La dura presa di posizione di Cary Sherman, chairman di RIAA (la potente organizzazione delle major discografiche americane), sulle interpretazioni a suo dire “distorte” del fair use e sugli effettivi diritti degli utenti sull’utilizzo dei contenuti in formato digitale, ha scatenato vive polemiche nel novembre scorso. Si attendeva una risposta della CEA , rappresentante dei produttori di dispositivi elettronici per il grande pubblico, risposta che alla fine è arrivata .
È lo stesso Gary Shapiro, presidente di CEA chiamato direttamente in causa da Sherman nella sua requisitoria, a rispondere per le rime a RIAA: il fair use non solo è un principio sacrosanto, ma occorrerebbe fare una distinzione netta tra gli utenti e i pirati “autentici” . Shapiro approfitta del keynote tenuto questo lunedì al CES , manifestazione di cui CEA è tra l’altro promotrice e organizzatrice.
Shapiro sostiene che nell’era della “Nuova Convergenza”, la principale area di scontro tra le parti è la proprietà intellettuale (IP). Ciò nondimeno, il vero problema non è la pirateria, ma le reazioni alla pirateria (o presunta tale). “Per più di due decadi – commenta l’executive – ho guidato una squadra di grandi difensori dell’industria nella lotta contro le proposte che vorrebbero restringere, tassare, bandire o azzoppare la nostra tecnologia. Non abbiamo avuto pieno successo. Aziende piccole e grandi ora affrontano cause legali debilitanti, i consumatori sono frustrati e i capitalisti di ventura sostengono che è diventato troppo rischioso fondare aziende che cambiano contenuto nel tempo e nello spazio”.
Ma non è, quella di Shapiro, una apologia a-critica della pirateria sic et simpliciter : quello che realmente occorre all’industria è piuttosto differenziare nettamente i “veri” pirati commerciali, che vendono supporti contraffatti lucrando sul lavoro degli artisti e dei software engineer , dagli utenti domestici che fanno semplicemente uso di una tecnologia in continua evoluzione per fruire dei propri contenuti digitali preferiti. Occorre insomma tracciare una linea di demarcazione netta tra gli spacciatori di CD falsi e ciò che risulta “accettabile in ambienti domestici”, dice Shapiro.
Una replica netta alla RIAA, che sostiene da tempo che la pirateria va combattuta dovunque essa si trovi, senza alcuna distinzione . Shapiro non ha come obiettivo principale le multimilionarie cause legali di RIAA, ma la salute dell’industria elettronica statunitense: l’attuale clima legale, sostiene, sta strozzando l’innovazione mettendo costantemente gli utenti-consumatori a rischio.
“Gli utenti hanno tutto il diritto di fare quel che vogliono con i propri contenuti legalmente acquisiti”, dice ancora Shapiro, condannando senza possibilità di appello quei sistemi DRM tradizionalmente impiegati dai produttori, ma che stanno sempre più cadendo in disgrazia sotto le pressioni di un mercato che li rifiuta.
“La pirateria è sbagliata. Ma i consumatori comuni non sono pirati, e la condotta privata può essere non autorizzata, ma questo non la classifica come pirateria. I consumatori hanno il diritto di usare la tecnologia, per beneficiare dell’innovazione e delle possibilità di accedere ai contenuti mentre ci si assicura che gli artisti vengano pienamente ricompensati per il loro lavoro”, dice infine Shapiro.
Sono fatti americani, conflitti interni all’industria forse, ma che danno comunque di che riflettere sulla reale portata dello scontro . In UK la British Library pensa a come riformare il DRM per salvaguardare la capacità di preservazione delle opere d’ingegno per i posteri, in Francia ci si auto-denuncia per violazione volontaria dei sistemi di protezione anticopia.
E in Italia? La voce del dissenso cerca di farsi sentire con manifestazioni di piazza , ma tutto quello che ottiene è la volontà del legislatore di imporre nuovi filtri agli accessi , nella vana speranza di mettere una pezza rabberciata ai problemi atavici dell’illecito e della pedofilia online.
Alfonso Maruccia