L’eruzione del vulcano Eyjafjallajokull , situato nella parte sud dell’Islanda, ha provocato la chiusura di decine di aeroporti nel Nordeuropa costringendo a terra centinaia di migliaia di passeggeri oltre che svariate migliaia di aerei commerciali .
La nube di ceneri vulcaniche ha infatti raggiunto città come Parigi e Bruxelles, i cui rispettivi scali aeroportuali sono fra i più trafficati d’Europa. Tuttavia le motivazioni principali che hanno indotto le autorità aeronautiche a cautelarsi si basano su una serie di esperienze pregresse che negli ultimi 30 anni hanno fatto la storia dell’aviazione civile: in questo lasso di tempo sono stati segnalati più di 80 casi di velivoli commerciali che hanno riportato avarie gravi causate dall’incontro con ceneri vulcaniche .
Il problema fondamentale di un aereo che vola in direzione di una nube vulcanica è che il radar di bordo non è in grado di rilevarla : nel caso non si tratti di un ammasso particolarmente denso la rilevazione diventa complicata anche a occhio nudo. Alcuni “sintomi” si manifestano sotto forma di odore acre, fuochi di Sant’Elmo, patina arancione depositata nelle parti concave dei motori, diminuzione della visibilità e alcune ombre individuate grazie alle luci di atterraggio.
Per questo esiste a livello globale il Meteorological Watch Office (MWO), un centro di controllo suddiviso in nove osservatori denominati Volcanic Ash Advisory Centers (VAAC), ognuno dei quali è responsabile per il monitoraggio di una certa porzione di spazio aereo. Quelli responsabili per l’Europa si trovano a Tolosa e Londra proprio da quest’ultimo è partito l’allarme SIGMET (Significant Meteorological Information) che ha poi causato lo stop ai voli.
Il rischio di ritrovarsi circondati di polveri e lapilli non sarebbe accettabile neanche per il più temerario dei piloti: la procedura standard in caso di allarme prevede come prima operazione l’inversione della rotta , seguita da una consistente diminuzione dell’afflusso di carburante ai motori e il rilascio degli erogatori di ossigeno. Una volta eseguiti questi step è necessario mettersi in contatto con il controllo del traffico aereo (ATC) e attivare i sistemi antighiaccio sulle ali e sui motori. Infine, per evitare di perdere l’uso degli strumenti elettronici in caso di spegnimento (a volte anche irreversibile) dei motori, il pilota mette in funzione l’APU (Auxiliary Power Unit) che provvede a mantenere in attività l’impianto elettrico.
Essendo costituita da particelle di dimensioni variabili da un micron a un opale, la nube vulcanica può danneggiare in diversi modi un motore a reazione . Innanzi tutto l’interruzione di un flusso regolare di aria all’interno del compressore può determinare uno stallo del motore. Inoltre, essendo molto abrasiva, la polvere può erodere le pale del compressore riducendo l’efficienza dello stesso. Sciogliendosi nella camera di combustione, i pezzi di vetro trasportati dalla nube si potrebbero depositare sulle pale della turbina, situata nella parte finale del motore, danneggiandole. Anche gli invertitori di spinta, necessari per atterrare, potrebbero subire danni compromettendo la possibilità di effettuare successivamente un atterraggio da manuale. Nel caso si tratti di lapilli di grosse dimensioni si potrebbe verificare un danno tale da compromettere ogni tentativo di riaccensione del reattore.
Oltre ai motori le altre parti di un velivolo interessate dal contatto con una nube vulcanica sono i parabrezza della cabina di pilotaggio e i finestrini situati nella parte anteriore dell’aeromobile, oltre che le luci di navigazione e atterraggio. Anche le ali e gli stabilizzatori potrebbero rimanere danneggiati così come tutte le sonde statiche e il Tubo di Pitot, utilizzato su tutti gli aeroplani per determinare la velocità rispetto all’aria.
Giorgio Pontico