Gli azionisti di Google non ci stanno: non intendono investire in una società che si piega a collaborare con governi che reprimono i diritti fondamentali dei propri cittadini, che negano loro la libertà di esprimersi e la libertà di informarsi. Chiedono che il colosso del search, gatekeeper della rete, garantisca che Internet sia uno strumento di libertà e non uno strumento che i governi possono brandire per controllare e reprimere.
È tornato a chiedere un cambio di atteggiamento il comptroller di New York , piccolo azionista che gestisce fondi pensione integrativi. Lo scorso anno Google aveva rigettato la proposta del suo rappresentante William C. Thompson, che chiedeva di aderire a standard minimi per la protezione dei diritti umani in rete. Gli azionisti sono tornati alla carica : “Le aziende tecnologiche negli Stati Uniti non sono state in grado di sviluppare standard adeguati ai quali attenersi nel fare affari con i governi autoritari nel rispetto dei diritti umani”, scrivono nella raccomandazione che presenteranno al consiglio di amministrazione di Mountain View il prossimo 8 maggio.
Se Google non è in grado di bilanciare i propri interessi con un comportamento eticamente corretto, gli azionisti si sentono in dovere di fare leva sulla propria posizione. Chiedono che Google non conservi i dati personali dei propri utenti, degli attivisti politici e di coloro che i governi potrebbero perseguire per aver abusato del diritto ad esprimersi, chiedono che le policy di conservazione dei dati siano esposte in maniera trasparente, così che i cittadini conoscano i rischi a cui vanno incontro: in questo modo si ridurrebbero drasticamente gli arresti di persone che hanno trovato nella rete uno spazio per esprimersi.
Gli azionisti chiedono a Google che non si pieghi all’autocensura , che non accondiscenda alle richieste dei governi degli stati in cui opera: BigG detiene delle responsabilità importanti nei confronti dei cittadini della rete e per questo non dovrebbe selezionare le fonti rassegnandosi a tracciare un quadro dei paesi in cui opera disegnato sull’immagine che il governo vuol restituire ai propri cittadini.
Google dovrebbe invece tentare con ogni mezzo di opporsi ai provvedimenti liberticidi , dovrebbe fare in modo che l’informazione circoli in rete, rifiutando ogni richiesta di rimozione di contenuti se non nel caso in cui sia la legge ad imporlo. E anche in questo caso, la censura dovrebbe essere trasparente ed esplicita: Google dovrebbe segnalare con chiarezza le circostanze nelle quali ha operato rimozioni, nelle quali si è adeguato a leggi venendo meno alla propria missione di porta di accesso al web.
Nonostante Google abbia più volte ribadito la propria disapprovazione nei confronti delle censure, nonostante abbia confermato che le rimozioni di contenuti dai propri servizi vengono operate solo nel momento in cui sia la legge a chiederlo , Google si è spesso dimostrato complice di governi autoritari, salvo poi rifugiarsi in accorati mea culpa .
Quello che sembra mancare a Google e alle altre aziende che si devono confrontare con la questione sembra essere un punto di riferimento: per questo motivo un altro gruppo di investitori, Harrington Investments , ha chiesto che Google si doti di una Commissione sui Diritti Umani . Questa Commissione dovrebbe essere incaricata di stilare report che documentino l’attività dell’azienda, di tracciare delle linee guida alle quali attenersi nelle contingenze più delicate. Iniziative di questo tipo si ripresentano ad intervalli regolari e Google stessa si era impegnata a collaborare nello stilare un codice di condotta condiviso dai maggiori player della rete.
Ma BigG ha già espresso le proprie raccomandazioni per il voto del consiglio di amministrazione: BigG si schiera contro entrambe le proposte avanzate dagli azionisti. Troppo limitante decidere una volta per tutte il comportamento da adottare in circostanze dalle infinite sfaccettature, impossibile stabilire univocamente la proporzione con cui tutelare interessi commerciali e ritorni di immagine . Google, ha spiegato il suo rappresentante Robert Boorstin, continuerà a perseguire l’obiettivo di “massimizzare la quantità di informazione disponibile ai cittadini di tutto il mondo”, continuerà a dibattersi fra la rassegnazione a scendere a compromessi con i governi liberticidi e la resistenza armata da opporre nei confronti di coloro che vogliono ridurre la rete a un megafono della propaganda.
Gaia Bottà