Non parlare di Piazza Tiananmen su TikTok, né dell’indipendenza del Tibet. Mentre che ci sei, ignora anche il Falun Gong, non si sa mai, e magari non citare Gandhi, né Trump, e magari evita anche di parlare di Cambogia o Taiwan. E poi in fondo chettifrega, sei qui per divertirti, sei qui per cercare i tuoi like, sei qui per passare qualche ora in compagnia, non certo per cambiare il mondo. Canta, balla, sorridi: sei su TikTok!
La censura su TikTok
Nei giorni in cui ci si interroga sul ruolo di Facebook nelle campagne elettorali; nelle ore in cui Facebook promette di non voler avere voce in capitolo nella politica; nei momenti in cui ci si interroga sul potere di Facebook nella libertà di espressione; nei giorni in cui ci si chiede se i social network vadano regolamentati o liberati in un più comodo laissez-faire; a pochi giorni da quell’Internet Festival 2019 nel quale ci si chiederà proprio chi debba scrivere le regole del gioco (e quali, e come). Proprio in questo contesto ecco la scoperta del Guardian che ci mette di fronte agli occhi l’acqua calda che nessuno ha scoperto e che tutti fingiamo di ignorare: situazioni come quella di TikTok non solo potrebbero accadere, ma accadono e non ne abbiamo coscienza fin quando non è qualcuno a lasciarle trapelare.
Il documento raccontato da The Guardian è la pietra angolare che traccia le linee guida della censura su TikTok, quello che stabilisce quali contenuti possano essere accettati e quali vadano invece limitati. Due le modalità di intervento: in alcuni casi i contenuti vengono espressamente rimossi, chiaramente bloccati per evitarne al massimo la divulgazione; in altri casi interviene un sistema meno radicale che limita la visione del video al suo stesso proprietario senza consentirne la visione altrui. Quel che non sappiamo (e su questo ci sarebbe forse da interrogarsi in modo più allarmistico) è se negli algoritmi della piattaforma possano esserci parametri con i quali foraggiare un’ideologia o scoraggiarne un’altra, plasmando la massa attraverso sottili (invisibili) manipolazioni della viralità.
La censura vieta inoltre l’apparizione di figure quali Kim Jong-il, Kim Il-sung, Mahatma Gandhi, Vladimir Putin, Donald Trump, Barack Obama, Kim Jong-un, Shinzo Abe, e altri, ma non il leader cinese Xi Jinping (sul quale la censura opera probabilmente in modo più capillare, approvando gli upload favorevoli e deplorando quelli scomodi alla propaganda di Stato).
La risposta della cinese Bytedance (il gruppo che a suo tempo acquisì Musical.ly per poi ribattezzarla TikTok) non si è fatta attendere, spiegando che il documento trapelato sia stato ritirato alcuni mesi or sono. Sebbene non sia spiegato cosa citi l’attuale versione delle policy interne, il gruppo chiarisce che le regole sono pensate per ridurre i conflitti e soffocare le distonie. Con l’apertura dell’impero Bytedance al mondo intero, inoltre, è stato chiaro immediatamente come le regole cinesi non potessero più valere in modo assoluto e che servissero team nazionali che possano agire in modo localizzato sulla base di regole, pratiche, cultura e abitudini del luogo. Il gruppo promette trasparenza, ma in nessun passaggio spiega come saranno le nuove regole, né come e quanto sarà garantita la libertà di espressione.
Del resto l’esportazione delle proprie aziende è anche esportazione dei propri ideali. Canta, balla, sorridi, ma attenzione: devi farlo in modo diverso se sei su Facebook o se sei su TikTok!