Visionario, ma al contempo molto molto pratico: come sempre , il chief internet evangelist di Google, Vint Cerf, non perde un’occasione per spiegare al mondo (reale e virtuale) il suo punto di vista sulle cose della Rete, la stessa rete di cui è considerato il papà. E mette sul tavolo un paio di problemi, e butta nell’arena un paio di idee che – visto il suo ruolo di vicepresidente di BigG – potrebbero anche non venire messe in un cassetto e dimenticate.
Prima di tutto, Cerf si pone il problema delle interconnessioni e della compatibilità. Sul piatto ci sono due questioni, entrambe legate alla capacità di interpretare i dati messi a disposizione di un utente da un suo pari: cosa accadrebbe, si domanda l’evangelist, se tra cento o mille anni si tentasse di aprire un file Powerpoint con l’ultima versioni di Office, la 3000.5? Probabilmente nulla, nel senso che di quello che c’è dentro quel file si sarebbe persa per sempre traccia: Cerf la chiama “marcescenza dei bit” ( bit rot ), nel senso che la mancanza della retrocompatibilità rischia di condannare tutto quanto c’è oggi in rete a divenire un rifiuto inservibile.
L’esempio scelto, in questo caso, è la biblioteca di Alessandria d’Egitto , posto dove Cerf confessa di essere stato da poche settimane: “Dentro quella biblioteca ci sono manoscritti di oltre mille anni fa, e sono ancora completamente accessibili: se non facciamo lo stesso – spiega – se non garantiamo l’accessibilità dei dati in futuro, cosa penseranno i nostri discendenti a proposito di noi e del 21simo secolo? Per loro saremo solo un enorme mucchio di bit marciti”.
Lo stesso problema, Cerf se lo pone per il cloud computing : tutti si affannano a creare servizi che trasportino online i dati dei propri utenti, ma a nessuno (almeno per il momento) sembra essere venuto in mente che prima o poi potrebbe anche essere necessario scambiare questi dati da una nuvola all’altra. Cerf cita il periodo in cui lui e Bob Kahn lavoravano all’interconnessione di Arpanet con il resto delle reti allora esistenti, che poi avrebbero dato vita alla Internet come la si conosce oggi: lo scenario di oggi proporrebbe sfide analoghe, con in più la complicazione di tenere d’occhio la sicurezza e – per le stesse ragioni del caso precedente – la portabilità.
Per chiudere la questione, Cerf affronta una delle problematiche più dibattute in materia di dati personali online: la privacy. E se la cava con un’argomentazione e una prospettiva inedita: il problema, spiega, non è garantire che le informazioni restino chiuse al sicuro in una cassaforte, quanto piuttosto che siano disponibili quando servono davvero . “Supponiamo – spiega – (…) che vi troviate in una città sconosciuta e abbiate un problema medico finendo al pronto soccorso: (…) l’ultima cosa che vi interesserebbe sarebbe la vostra privacy. La prima cosa che vi verrebbe in mente sarebbe essere certi che i dottori in quel pronto soccorso abbiano accesso ad ogni piccola informazione utile a curarvi”.
Anche in questo caso Cerf propone un’idea: creare dei meccanismi che consentano di garantire l’ accesso temporaneo ai propri dati personali, in modo da autorizzare, caso per caso, chiunque ci interessi e solo per un intervallo prefissato. Un giorno, una settimana, un mese per garantire al pronto soccorso dell’ospedale di fare il proprio lavoro. Un anno, due, tre, dieci anni al proprio commercialista, al medico di famiglia, a un familiare o chiunque possa essere interessato ad avere informazioni a lungo termine sulla nostra persona.
Infine, tocca a qualcosa di più tangibile e immediato: i video su Internet . Cerf è pur sempre un esponente di primo piano di Google, azienda che a sua volta possiede YouTube: ma, neppure troppo a sorpresa, Vint non si dimostra troppo convinto del meccanismo con cui oggi il portalone video funziona. “Sono sempre dell’idea che al crescere continuo della nostra velocità di navigazione il download e la riproduzione a posteriori si riveleranno la soluzione più semplice e più conveniente”. La sperimentazione del download sulle pagine di YouTube, insomma, potrebbe non essere un caso.
C’è spazio pure per l’ advertising : a Cerf piace poco il vecchio modello del broadcasting, motivo per il quale diffida dello streaming e incoraggia il download dei video, e per la stessa ragione non gradisce i vecchi paradigmi della pubblicità che interrompe la visione. Cosa accadrebbe, ipotizza, se un giorno o l’altro si potesse cliccare su ogni singolo dettaglio di una immagine o di un filmato, e a quei pixel venisse automaticamente associato un annuncio pubblicitario contestuale discreto? Chissà, magari Google lavora già a qualcosa di simile.
Luca Annunziata