“Non credevo che questo momento sarebbe arrivato nella mia vita”: Peter Higgs non trattiene qualche lacrima al termine della comunicazione dei risultati (preliminari) degli esperimenti ATLAS e CMS in una sala del CERN di Ginevra. Risultati che sembrano confermare le sue teorie, partorite circa 40 anni fa, e che finalmente scovano la particella che ha preso il suo nome: il bosone di Higgs.
Entrambi gli esperimenti sono arrivati alla fatidica soglia dei 5 sigma (5 deviazioni standard, una probabilità del 99,99995 per cento), ovvero semplificando sono giunti a un punto che nel mondo scientifico equivale alla conferma della scoperta: il bosone è stato individuato in una regione di massa compresa tra 125 e 126GeV , e statisticamente è appropriato affermare che la scoperta è stata fatta perché in natura la probabilità che un valore del genere venga rilevato è una su tre milioni. In ogni caso si tratta di una particella significativa, pesante quanto basta per far tendere alla convinzione che si tratti proprio del bosone di Higgs, ma che andrà studiata con cura nei prossimi mesi e anni (il mantra “more data” è risuonato ancora una volta in sala al termine di entrambe le relazioni) per determinare al meglio le sue caratteristiche e valutare l’impatto che avranno nella revisione delle teorie che descrivono la materia e l’Universo. Fino alla fine del 2012 non ci saranno conferme definitive sulla scoperta , ovvero se quanto scovato sia effettivamente il bosone di Higgs così come descritto dal Modello Standard.
L’incognita, a questo punto, sarà infatti comprendere se quanto scoperto ricalchi appieno le previsioni del Modello Standard o se questa particella non differisca di pochi o molti dettagli da quanto ipotizzato: in un caso ci sarebbe la conferma per una teoria che descrive l’Universo (sebbene non completamente), nell’altro sarà necessario un ulteriore lavoro teorico per cercare di superare un limite dell’attuale formulazione. Le scoperte comunicate oggi, tuttavia, gettano una luce positiva sul Modello Standard, e l’euforia dei fisici in sala dice molto anche sulla soddisfazione dei risultati ottenuti da un progetto costoso ma fondamentale per la ricerca scientifica come LHC .
I risultati mostrati oggi sono “figli” di quanto mostrato a dicembre 2011 : già in quell’occasione c’era stata la sensazione che ormai il bosone “maledetto” fosse stato scovato, ma mancando dati conclusivi gli scienziati del CERN avevano invitato tutti alla cautela. L’accelerazione, letterale , delle operazioni ha permesso di raccogliere i fatidici “più dati” necessari a completare nuovi calcoli e trarre nuove conclusioni: sebbene nessuno dei due team coinvolti si arrischi ad affermare che la scoperta sia conclusiva, la pagina Web del CERN testimonia la fiducia della comunità scientifica. “La nostra comprensione dell’universo sta per cambiare” recita orgogliosa la scritta su una pagina dedicata all’evento di oggi.
Gli esperimenti condotti nell’LHC consistono nel tentare di misurare il decadimento del bosone di Higgs. In altre parole, due particelle (protoni) vengono fatte scontrare per osservare gli effetti: il bosone di Higgs si disintegra in un lasso di tempo brevissimo, ma secondo il Modello Standard “decade” in particelle note e rilevabili (quasi tutte: per esempio i neutrini fanno storia a sé). Cercando queste particelle e misurandone le caratteristiche gli scienziati possono trarre delle conclusioni sulle caratteristiche della particella che le ha generate: con le tecnologie attuali e gli esperimenti CMS e ATLAS in funzione, se il bosone di Higgs non esistesse i fisici dovrebbero essere in grado di escludere la sua esistenza con una probabilità superiore al 95 per cento.
Nel dettaglio, gli studi presentati oggi (e che saranno pubblicati entro la fine del mese con le conclusioni definitive) hanno preso in esame i dati ottenuti a 8TeV (valore che esprime l’entità delle collisioni protone-protone nel Large Hardron Collider) raccolti nei 3 mesi di accensione 2012 dell’acceleratore di particelle. Nel caso di ATLAS si parla di un milione di miliardi di collisioni analizzate , che entro la fine del 2012 saranno raddoppiate, e che hanno condotto fino alla misura di circa 126GeV (circa la massa di un atomo di iodio) con un sigma pari a 5. Anche l’ esperimento CMS mostra la stessa deviazione standard (5 sigma), ma su una misura di 125GeV, e in questo caso la speranza è di allargare di tre volte la base di dati analizzata entro fine anno in modo da aumentare la qualità dei risultati.
In realtà, la probabilità di esistenza del bosone di Higgs non è assoluta: alcuni dei canali di misurazione del decadimento indicano una sigma ancora inferiore al fatidico valore 5, ed è per questo che i ricercatori premono per maggiori informazioni da analizzare e ulteriori evoluzioni degli strumenti a loro disposizione. Tuttavia, ce n’è abbastanza per affermare che la ricerca è sulla buona strada: in ogni caso è necessario approfondire ancora la questione e cercare di comprendere la portata di quanto divulgato oggi.
Nel futuro sarà necessario anche aumentare l’energia in gioco e spingersi oltre i valori attuali: CLIC (Compact Linear Collider) e ILC (International Linear Collider) sono due delle possibili evoluzioni di LHC che la ricerca già preme per vedere realizzati. Il secondo pare ad uno stadio più avanzato di sviluppo, mentre il primo richiederebbe uno sforzo maggiore sul piano della ricerca e dello sviluppo per venire implementato (sebbene con prospettive maggiori sul piano della ricerca). In ogni caso si tratta di scadenze future, che non devono distogliere troppo da quanto accade oggi al CERN con LHC: l’attuale infrastruttura sarà sfruttata al massimo fino alla fine del 2012, per poi venire “spenta” nel corso del 2013 (ma il direttorato del CERN pensa a ritardare al massimo questa procedura per consentire agli scienziati di raccogliere quanti più dati possibile da analizzare) e potenziata in vista di un’ulteriore campagna di esperimenti nel 2014 che proseguirà per molti anni ancora .
Luca Annunziata