Certificato verde: accordo raggiunto, ma fragile

Certificato verde: accordo raggiunto, ma fragile

L'accordo raggiunto in settimana sul Certificato Verde è frutto di compromessi e della volontà di arrivare comunque subito ad una definizione.
Certificato verde: accordo raggiunto, ma fragile
L'accordo raggiunto in settimana sul Certificato Verde è frutto di compromessi e della volontà di arrivare comunque subito ad una definizione.

Da una parte c’è l’economia che preme per un’apertura quanto più solerte possibile, dall’altra c’è una cautela sanitaria che guarda con timore ai dati del Regno Unito. Nel mezzo c’è la politica, che ha il dovere di ascoltare entrambe le istanze e che nel Certificato Covid Digitale UE (Certificato verde) sta cercando il giusto compromesso. Dopo la prima approvazione del Parlamento Europeo, la documentazione è immediatamente passata al Consiglio Europeo ove se ne è discusso in queste settimane, fino ad arrivare all’attesa approvazione.

Ma a che prezzo? Lo si capirà soltanto con il passare del tempo e con le (non certo auspicate) sfide che il Covid potrà ancora lanciare sul continente europeo.

Certificato verde: accordo e compromessi

Non è stato facile. Un Certificato Covid Digitale UE che sposasse le istanze di tutti i Paesi membri non era questione di poco conto, soprattutto in considerazione dei tempi stretti e delle differenti sensibilità che le varie parti dell’UE stanno dimostrando sul tema. Differenti necessità, anche: mentre i Paesi a vocazione turistica mordono il freno per un’attuazione quanto più solerte possibile delle certificazioni, altri Paesi preferiscono sincerarsi prima del fatto che le vacanze estive non possano pregiudicare la ripartenza autunnale. L’accordo finale è fatto dunque di concessioni all’una ed all’altra parte, offrendo maggior arbitrarietà ai singoli Paesi i quali, in caso di recrudescenza dei contagi, avranno la possibilità di sfilarsi ed imporre regole più restrittive:

I Paesi UE non devono imporre ulteriori restrizioni di viaggio, come la quarantena, l’autoisolamento o i tamponi, “a meno che non siano necessarie e proporzionate per salvaguardare la salute pubblica” in risposta alla pandemia di COVID, tenendo conto anche delle prove scientifiche disponibili, “compresi i dati epidemiologici pubblicati dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC)”. Tali misure dovrebbero essere notificate agli altri Stati membri e alla Commissione al più tardi 48 ore prima.

L’accordo ha fin da oggi una base temporale precisa: “il regolamento del Certificato Covid digitale UE resterà in vigore per 12 mesi. Il certificato non sarà una precondizione per esercitare il diritto alla libera circolazione e non sarà considerato un documento di viaggio“. Bocciata l’idea di offrire tamponi gratuiti a quanti si trovano all’estero: l’UE ha voluto dunque farsi carico del finanziamento dei tamponi (100 milioni di euro) per quanti sono in viaggio per motivi particolari, “in particolare le persone che quotidianamente o frequentemente attraversano le frontiere per andare al lavoro o a scuola, visitare parenti stretti, cercare cure mediche, o per prendersi cura dei propri cari, così come i lavoratori essenziali“.

Il relatore Juan Fernando Lopez Aguilar non ha potuto fare a meno di esprimere rammarico per le concessioni che si son rese necessarie per mandare in porto l’accordo: “Anche se l’accordo raggiunto oggi non soddisfa pienamente le richieste del Parlamento europeo, certamente significa un importante miglioramento dello status quo attuale per milioni di cittadini dell’UE. Certificato Covid digitale UE ripristinerà la libera circolazione all’interno dell’UE, mentre gli Stati membri potranno iniziare ad eliminare le restrizioni alla libera circolazione in tutta Europa. Questo accordo è il primo passo per rimettere in carreggiata l’area Schengen“. Proprio il compromesso potrebbe aver fatto contenti tutti sulla base delle diverse esigenze: l’area meridionale voleva una immediata attuazione, l’area settentrionale voleva poter stringere le maglie in caso di problemi. Ambo le parti vedono soddisfatte le proprie esigenze, rendendo però così il certificato meno solido e duraturo. Più un lasciapassare temporaneo che non un “passaporto sanitario” per come lo si voleva intendere inizialmente.

Sulla base di quanto indicato, l’iter prevede ora il voto presso la commissione parlamentare per le libertà civili (26 maggio) ed alla Plenaria (7-10 giugno), proiettando così la piena adozione del certificato a partire dal 1 luglio. Mario Draghi aveva chiesto alle autorità di fare presto e, pur sapendo che le difficoltà sarebbero state importanti, non poteva forse auspicare di meglio. Il certificato sarà fondamentale per gli italiani che vorranno andare all’estero, ma sarà ancor più importante per le capacità ricettive dell’Italia nella stagione estiva 2020-21. Poi si vedrà.

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Pubblicato il
23 mag 2021
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