Roma – Cari amici di Punto Informatico, volevo approfittare della
notizia che avete pubblicato sull’iniziativa della Guardia di Finanza di far studiare e certificare i propri migliori sistemisti per fare qualche considerazione sul ruolo della formazione informatica in questo periodo così delicato per tutti.
Si sente continuamente parlare, vuoi sui giornali vuoi nei TG, di come lo skills shortage sia un problema molto sentito in Italia: questo in concreto vuol dire che tantissimi tecnici oggigiorno sanno installare un sistema operativo ma, ad esempio, non sanno gestire un aggiornamento dinamico dei record DNS in un ambiente di rete un po’ più complesso del solito.
Beh, mi si dirà, se una società vuol far specializzare un proprio tecnico, lo manda a frequentare uno dei tanti corsi che riguardano questo ed altri argomenti, indipendentemente dal fatto che le lacune riguardino sistemi informativi gestiti tramite Windows, Linux, Oracle e così via.
Bene, la mia attività è proprio quella di erogare corsi Microsoft, corsi Microsoft Official Curriculum per la precisione, che da un lato permettono allo studente di specializzarsi su un particolare aspetto della sua attività di sistemista (Active Directory, infrastrutture di rete etc.) dall’altra di cimentarsi con i famigerati esami di certificazione che gli consentirebbero di pubblicizzare le sue capacità implementative e/o progettuali anche ad altri potenziali datori di lavoro.
La formazione è uno dei cardini dello sviluppo del nostro Paese – lo diceva un paio di anni fa in campagna elettorale anche il nostro attuale Premier – ma cosa fanno in concreto i centri che erogano formazione (nel mio caso i Microsoft Certified Technical Education Centers) almeno nell’area in cui lavoro io, cioè Milano?
Incuranti della crisi profonda che ha colpito il settore da parecchio tempo ormai, continuano a “sparare” i loro corsi ai prezzi dei bei tempi andati: per fare un esempio, fino alla fine dell’anno scorso, per frequentare un corso su Active Directory bisognava sborsare mediamente 1500 euro.
Se fossi stato un semplice privato, magari un disoccupato interessato a qualificare meglio e di più il mio curriculum, le cose sarebbero state peggiori: 1500 euro senza nemmeno quella legge Tremonti che facilita le aziende che mandano i propri dipendenti in trasferta ad imparare. Soltanto un CTEC milanese proponeva agevolazioni per i privati che frequentassero i corsi del tutto svincolati da qualunque appartenenza aziendale, per il resto notte fonda.
Risultato di questa oculata politica di marketing? Centinaia di corsi saltati, posti di lavoro nel settore training che cominciano a vacillare.
Adesso e soltanto adesso (primi mesi del 2003) che la situazione è diventata drammatica, i CTEC in questione abbassano la cresta proponendo prezzi più umani e offrendo spesso una combinazione corso+voucher per sostenere l’esame di certificazione.
Tutto questa mia elucubrazione a che pro, potreste dirmi?
Beh, non lamentiamoci noi addetti ai lavori se la qualità media del tecnico sistemista e/o sviluppatore è bassa, se le società continuano ad assumere ragazzini solo perché conviene loro in termini di costi, cerchiamo invece di rimboccarci le maniche e di rendere il sapere informatico, sia esso asservito alle logiche di Bill Gates sia esso aperto alle istanze dell’open source, alla portata di quante più persone possibile.
Ovviamente le mie speranze si infrangeranno contro istogrammi o vari altri grafici che dimostreranno invece che se la qualità del servizio corsi vuole rimanere elevata, i clienti dovranno pagarla questa qualità eccome, ma ecco, è importante che la gente sappia che le lacrime versate dai grossi colossi IT spesso sono lacrime di coccodrillo.
Utopia 70